L’allertismo e il fancazzismo

Lungi da me fare del qualunquistico sciacallaggio o addirittura del gufaggio sulle ricorrenti e sconvolgenti disgrazie ambientali, che stanno sempre più connotando e precarizzando il nostro vivere. Vorrei solo di seguito riportare ad un costruttivo e fattivo atteggiamento ciò che rischia di diventare invece un devastante e rassegnato fatalismo, preceduto da uno stucchevole allertismo, sconfinante nell’allarmismo e seguito dai burocratici appelli allo stato di calamità naturale. Spero di non essere frainteso, ma la sincera partecipazione ai drammi di tanti miei concittadini mi induce a spietate (forse esagerate) considerazioni critiche sul contesto amministrativo entro cui avvengono i disastri alluvionali.

Lo stare all’erta nasce da una espressione del linguaggio militare che significava originariamente ‘stare su un’altura (per poter vedere in tempo l’arrivo dei nemici)’ e che poi ha acquisito il significato più generico di ‘stare attenti, vigili’.

Il susseguirsi continuo di variopinti messaggi di all’erta meteorologici lascia il tempo che trova se non è accompagnato da precise istruzioni e consigli comportamentali e sembra fatto soltanto su misura per sgravare di responsabilità gli amministratori pubblici competenti per materia e/o territorio. E allora ecco il rischio di scadere nel gridare “al lupo! al lupo!”, vale a dire nel dare allarmi per nulla, soprattutto se ciò avviene ripetutamente, creando pericoloso ed abitudinario scetticismo nei cittadini, salvo farsi trovare impreparati quando arriva la vera alluvione.

“Io ve l’ho detto, sappiatevi regolare…”: questo in filigrana il senso degli avvertimenti sparati “alla viva la protezione civile…”.  Così seccamente divulgati sono destinati a creare inutile e controproducente allarmismo con reazioni simili a quelle provocate nella moglie di uno storico ruspante meteorologo, esibito, tra il serio e li faceto, dalla Gazzetta di Parma, la quale, rispetto al brutto tempo previsto dal marito, si regolava di conseguenza, facendo sistematicamente il bucato quando sentiva, provenienti dal coniuge, previsioni di grandi piogge. Non è forse vero che un generico “stai attento” crea ansia e paura più paralizzanti che efficaci?

Penso che, complice il susseguirsi di eventi atmosferici assai invasivi e dannosi, ci sia la tendenza a ingigantire il minimo motivo di sospetto o di apprensione, creando uno stato di tensione provocato da notizie più o meno attendibili, anche perché la meteorologia è la non scienza per antonomasia. Non si fa un servizio alla collettività, ma si mettono solo le mani avanti per prevenire eventuali contestazioni a livello di errori ed omissioni.

I pubblici poteri farebbero meglio, anziché ripararsi dietro il generico dito degli o delle all’erta, a impegnarsi nella difesa e manutenzione del territorio, diventato un autentico colabrodo. Bastano infatti normali piogge stagionali per scatenare frane, smottamenti, allagamenti, esondazioni, etc. etc. Credo che solo in casi veramente preoccupanti sia utile la diramazione degli all’erta in quanto accompagnata da precise indicazioni sulla chiusura delle scuole, sui blocchi al traffico, sull’abbandono delle abitazioni, sul non uscire di casa, sul salire ai piani alti, etc. etc. Nei giorni scorsi a Parma sono stati diramati messaggi telefonici di all’erta. La mia immediata reazione è stata: cosa devo fare allora? Mi si dica qualcosa in più, altrimenti non serve a niente se non a coprire le spalle ai pubblici amministratori.

Lasciatemi poi nutrire qualche dubbio sul fatto che a fronte di uno straripamento torrentizio ci sia (quasi) sempre un quantitativo di pioggia annuale concentrato in pochissime ore. Qualche volta sarà così, ma non sempre. Un modo come un altro per scaricare le colpe sul buco dell’ozono, coprendo i propri buchi di gestione del territorio? Senza contare che il buco dell’ozono è anche e forse soprattutto colpa dell’uomo e quindi siamo al cane ecologico che si morde la coda.

Ai media non par vero di cavalcare queste situazioni, facendo cassa sulle emergenze vere o fasulle che siano. Anche questo è un malcostume che sta improntando tutta la nostra società e che non ha niente a che vedere con un’informazione corretta, completa e tempestiva.

Lasciamo perdere poi la stucchevole inflazione degli interventi grilloparlanteschi di scienziati e tecnici interpellati al riguardo. Mio padre sarebbe oltremodo d’accordo col mio scetticismoed aggiungerebbe: “Sì. I päron coj che al’ ostaría, con un pcon äd gess in simma la tävla, i mètton a pòst tùtt; po’ set ve a veddor a ca’ sòvva i n’en gnan bon äd fär un o con un bicér…”.

Nelle opere liriche si cantano spesso “allarmi-allarmi” (famosissimo quello del Trovatore di Verdi), accompagnati dai partiam-partiam…e tutti rimangono regolarmente in scena: chi è che va a combattere non è dato sapere. Per fortuna nel nostro vivere civile, mentre molti lanciano allarmi e dicono di partire con azioni di bonifica e risanamento che non si vedono, c’è chi combatte veramente la buona battaglia del salvataggio e del soccorso, vale a dire la protezione civile, l’unica istituzione che non mi mette ansia e mi concede un po’ di relativa tranquillità.