Un Papa fuori dai denti perbenisti

Arrivano infine le scuse di Papa Francesco per le frasi pronunciate la scorsa settimana nell’incontro con i vescovi all’assemblea generale della Cei. «Nella Chiesa c’è troppa aria di “frociaggine“», i vescovi farebbero bene a «mettere fuori dai seminari tutte le checche, anche quelle solo semi orientate», aveva detto davanti ai prelati. E una volta che quelle dichiarazioni sono diventate pubbliche, l’entourage del Santo Padre si è dovuto attivare per gestire la crisi, provando a sgonfiare le polemiche parlando di uno scivolone linguistico, di chi non conosce perfettamente l’italiano, un “inciampo” causato dalla pesantezza della giornata e dovuto alla stanchezza. E però quelle parole hanno ferito una comunità, di fedeli e non solo, così la sala stampa vaticana ha voluto precisare la posizione del Pontefice diffondendo un suo messaggio. «Papa Francesco è al corrente degli articoli usciti di recente circa una conversazione, a porte chiuse, con i vescovi della Cei», si legge nella nota, «come ha avuto modo di affermare in più occasioni, “nella Chiesa c’è spazio per tutti, per tutti! Nessuno è inutile, nessuno è superfluo, c’è spazio per tutti. Così come siamo, tutti”». Quindi le scuse: «Il Papa non ha mai inteso offendere o esprimersi in termini omofobi, e rivolge le sue scuse a coloro che si sono sentiti offesi per l’uso di un termine, riferito da altri». (da Open giornale online)

Non c’è che dire, siamo belli come il sole, tutti si schifano di fronte al linguaggio criptico e reticente dell’alto clero vaticano, poi, quando il papa “parla come mangia”, c’è la corsa allo stupore se non addirittura allo scandalo.

Indubbiamente papa Francesco sta vivendo il periodo della vecchiaia in cui è naturale abbandonare certe prudenze e sottigliezze verbali per andare drasticamente e apertamente al sodo, anche e soprattutto in casa propria come può essere considerata l’assemblea dei vescovi italiani. Purtroppo c’è chi all’interno del Vaticano non si lascia scappare l’occasione di squalificare un papa scomodo e sincero come Bergoglio (chi ha divulgato la notizia ben sapendo che sarebbe stata strumentalizzata a livello mediatico?). Così come c’è chi corre a giustificarlo impropriamente e burocraticamente: ha detto quel che ha detto. Punto.

Vado al nocciolo della questione allargandola al rapporto tra Chiesa e sesso, improntato da sempre a reticenze e colpevolizzazioni. Questo discorso riguarda tutti i cattolici, figuriamoci i sacerdoti e i candidati al sacerdozio. Vorrei farmi guidare nel mio commento dal caro amico don Luciano Scaccaglia e dall’eredità cristiana che mi ha lasciato in materia di sessualità nella Chiesa.

Era da poco ritornato in parrocchia dopo la lunga degenza ospedaliera per un complesso intervento chirurgico. Andai da lui una domenica mattina prima della messa che non aveva ancora ripreso a celebrare, pochi giorni dopo lo scoppio dello scandalo dell’outing del monsignore della curia vaticana che ammetteva la sua omosessualità e la relazione con il suo partner, lanciando un bel sasso nella piccionaia omofoba (di facciata) degli ambienti clericale. Provai a introdurre en passant l’argomento con una battuta: «Hai visto Luciano che razza di casino ha fatto scoppiare quel monsignore della curia romana?». Sostanzialmente la risposta secca e immediata fu: «Ha fatto benissimo! È inutile continuare a nascondere la realtà dell’omosessualità presente anche fra i sacerdoti. Bisogna prenderne atto, smettere di criminalizzarla, toglierla dalla clandestinità e volgerla in positivo». Non volli battere ulteriormente il tasto, mi limitai solo a commentare: «Se mi volevi dimostrare di avere ripreso totalmente la tua lucidità e la tua verve, ci sei riuscito pienamente».

La materia sessuale la affrontava senza falsità, senza diplomazia, senza falsi pudori. Innanzitutto partiva col considerare il sesso come un grande dono di Dio da vivere come tale, senza paura e senza complessi. Quante volte don Luciano mi ha parlato, quasi con ribrezzo, dell’errata educazione e formazione ricevuta in seminario laddove si demonizzava la donna e si creavano i presupposti per una visione complessata della sessualità propria e altrui. Quante volte mi ha citato le agghiaccianti teorie di certi padri della Chiesa che straparlavano in materia. Quante volte abbiamo concluso rimarcando le grandi responsabilità che la Chiesa si è assunta in passato nella colpevolizzazione dei credenti assoggettandoli a vere e proprie vessazioni psicologiche in fatto di comportamenti sessuali.

Nelle sue ultime omelie, mettendo in contrasto la misericordia di Gesù con il moralismo della Chiesa, diceva: «Una cosa è certa: con Gesù è la fine della contrapposizione netta tra buoni e cattivi, è la fine “delle evidenze morali e dei concetti chiari e ferrei”, è la fine dei pregiudizi, a causa dei quali noi sappiamo sempre cosa occorre fare, però nella vita degli altri. Una cosa è certa: la severità della Chiesa, le sue rigide leggi pastorali, liturgiche, sacramentali verso i “diversi”, le coppie di fatto, o persone in difficoltà, o matrimoni in crisi, non aiutano né testimoniano la misericordia di Gesù; non fanno maturare, ma umiliano». E ancora, chiarendo come le distinzioni sessuali non vengono da Dio, sosteneva: «Dio ama tutti, tutte le persone e non guarda alla tendenza sessuale. Noi invece facciamo distinzione e alziamo steccati, laddove non è presente la misericordia di Dio, ma il nostro giudizio severo… Una parte della Chiesa, forte della difesa del matrimonio e della famiglia fatta giustamente da Francesco, veste i panni dei crociati e non ha stima, anzi, rifiuta le unioni civili. Il Family day e altre iniziative vanno in questo senso: difendono la famiglia, il matrimonio, ma condannano altre forme ed espressioni dell’amore. Strani questi cristiani, questi vescovi, discriminanti e penalizzanti, che pensano di parlare a nome di Dio e di Gesù».

Anche se già fortemente provato, don Scaccaglia, si esprimeva con accenti molto incisivi e, come al solito, fuori dal coro: «Dio non si interessa delle tendenze sessuali, stima tutte le coppie, sia etero che omosessuali, perché Lui è Padre e Madre di tutte/i. Non c’è solo la famiglia tradizionale, ma anche altre unioni dove regnano l’amore e altre forme di fecondità. Di questo amore hanno bisogno tutti i bambini: di uomini e di donne con la vocazione genitoriali presente nelle persone etero e in quelle omo. Di amore hanno bisogno: perché Dio è amore universale, per estensione e per qualità. Ama tutti, sempre, e di tutti rispetta l’identità. Non fa l’esame del sangue, ma inietta in tutti un amore viscerale, di Padre e di Madre, ci salva con il sangue del Figlio sulla croce».

Ricordo le parole della sua ultima omelia pronunciata. Era quasi un testamento spirituale che riporto di seguito: «Quindi tu, Chiesa, non avere paura! Non avere paura dei diversi, anche dei diversi sessualmente parlando: sono una ricchezza e non un pericolo. Non avere paura delle coppie di fatto: il sacramento che le unisce è l’amore. Non avere paura delle coppie omosessuali perché sono segno di amore e non temere se i bambini saranno affidati a queste coppie che hanno la vocazione e l’impegno a livello genitoriale e possono andare ben oltre la procreazione biologica. Non avere paura delle leggi civili laicamente e democraticamente adottate dal Parlamento. Non avere paura del sesso, perché è un grande dono di Dio. Non avere paura degli stranieri, perché Gesù li andava a cercare ed aveva grande fiducia in loro. Non avere paura degli Islamici, perché Gesù non discriminava nessuno in base alla religione.  Signore! Aiutaci a non avere paura! Ad andare per le nostre strade con il coraggio dell’amore e non in piazza con la paura del nuovo!».

Devo ammettere però che con don Luciano, mentre ho affrontato spassionatamente il problema del celibato sacerdotale e del sacerdozio femminile, non ho mai approfondito quello delicatissimo del sacerdozio assegnato a persone omosessuali. Certamente non bisogna nascondere questo problema sotto il tappeto del perbenismo; va visto senza assurde reticenze in capo ai sacerdoti già consacrati, ma ancor di più va affrontato nei confronti dei candidati al sacerdozio e nei seminari.

Non mi nascondo dietro il bigottismo conservatore, ma nemmeno dietro il dito aperturista e mi chiedo: una persona omosessuale dà sufficienti garanzie di equilibrio sentimentale per svolgere il suo compito educativo e formativo nei confronti dei fanciulli, dei ragazzi, dei giovani, di tutti coloro che devono vivere positivamente la loro sessualità? Non ho e non credo ci sia una risposta valida per tutti i casi. Capisco le preoccupazioni papali per eventuali derive omosessuali a livello seminariale, ma non mi sento di escludere aprioristicamente la prospettiva sacerdotale per i soggetti a tendenza sinceramente e apertamente omosessuale. L’importante è uscire dall’atteggiamento ipocrita e da quello censorio: due modi per non affrontare il tema.

Se il Papa voleva porre il problema, c’è riuscito anche se in modo un po’ indelicato. Se voleva invitare chi di dovere ad occuparsene seriamente al di fuori di pregiudizi e schematismi, penso abbia fatto benissimo. Se voleva tranciare sbrigativamente un limite rigido e invalicabile al fine di evitare equivoci e scivoloni anche pedofili (è scientificamente, umanamente e cristianamente azzardata la teoria omosessualità=rischio di pedofilia), credo sia caduto nel solito vizio precettistico della Chiesa: non è con regole fisse e indiscutibili, che si affronta il problema della sessualità, ma partendo dall’amore che è il presupposto di tutte le tendenze ed esperienze sessuali.