Pregar non nuoce

L’Imam Brahim Baya ha tenuto un momento di preghiera, venerdì scorso, all’interno di Palazzo Nuovo, una delle sedi occupate nell’Università di Torino dai collettivi pro Palestina. Invitato dagli studenti musulmani in accordo con gli occupanti, la sua presenza sta suscitando non poche polemiche. A chiedere che Baya oltre che da Imam facesse da ‘Khatib’, ovvero l’oratore che rivolge una breve discorso prima dell’orazione, sono stati gli studenti stessi. Il discorso si è aperto con un ringraziamento a loro che stanno portando avanti la protesta per la popolazione di Gaza. L’imam ha parlato della resistenza del popolo palestinese e sono state ricordate le parole del profeta Muhammad, in cui si afferma di non accettare mai l’ingiustizia e il male, rifiutandolo sempre con il cuore, la parola e con le mani. Per Baya il popolo palestinese «ha resistito di fronte a questa furia omicida, questa furia genocida, uscita dalle peggiori barbarie della storia che non tiene in considerazione nessuna umanità, nessun diritto umano».

Stefano Geuna, rettore dell’Ateneo, ha condannato fermamente l’operazione rimarcando «il carattere di laicità dell’istituzione universitaria torinese». Sul caso è intervenuta anche la ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, che ha contattato telefonicamente il rettore. Geuna ha precisato che «il fatto è avvenuto in una situazione di occupazione da parte degli studenti, i quali impediscono da giorni l’accesso a docenti e personale universitario». Insomma piena responsabilità degli occupanti. Alle critiche ha risposto il diretto interessato. «Sembra che alcuni professori (chi? quanti?) abbiamo scritto alla ministra Bernini per lamentarsi della preghiera del venerdì celebrata dagli studenti musulmani che, insieme agli altri, occupano Palazzo Vecchio – ha scritto Brahim Baya su Facebook -. Non aggiungo altro». A Roma, nel mentre, dopo l’Assemblea dei rettori è stato ribadito l’impegno a proseguire la collaborazione scientifica con le università straniere di ogni Paese ma è stato anche precisato che «il massacro di civili a Gaza ha superato ogni limite accettabile». I rettori hanno preso atto della lettera, firmata da docenti e studenti, in cui si chiede il cessate il fuoco sulla Striscia. Alcuni collettivi studenteschi, esclusi dalla delegazione a cui la segreteria della Crui ha permesso di consegnare la lettera, si sono accampati a pochi passi da Piazza Rondanini. (da Open – giornale online)

Una mia amica, che ha la bontà di leggere i commenti e le riflessioni personali postate sul mio sito, mi definisce bonariamente un bastian contrario: ammetto che la mia verve critica possa dare questa impressione. Forse è tale e tanta l’aria di omologazione ed assuefazione al potere dominante, che si respira, da indurmi ad esagerare provocatoriamente nei toni più che nei contenuti.

Assolto l’obbligo di questa excusatio non petita, che mi serve a mettere le mani avanti in ordine a quanto di seguito scriverò, mi tuffo in un fatto che, in netta controtendenza, non mi ha per niente scandalizzato e irritato. Mi ha infastidito invece il perbenismo delle reazioni scatenate dalla preghiera musulmana all’Università di Torino occupata per esprimere solidarietà al popolo palestinese. Sono stati accampati principi come la laicità e la democrazia a copertura della subdola e faziosa posizione filo-israeliana, che non si scompone nemmeno di fronte alla carneficina perpetrata sui bambini palestinesi.

Innanzitutto ben venga la preghiera in qualsiasi luogo, a qualsiasi dio venga indirizzata purché motivata da intenti pacifici ed espressa con toni non violenti.

I rapporti tra israeliani e palestinesi risentono molto degli aspetti religiosi, che in realtà di religioso hanno ben poco; l’intransigenza della politica israeliana è condizionata dall’invadente potere religioso e dalle sue caste; il discorso vale anche per l’islam.

Sarebbe necessario sgombrare il campo dagli equivoci di cui è impastato il rapporto con l’Islam: ammetto che invece permangono le perplessità verso la teoria e la prassi di questo movimento. Si va dalle disposizioni coraniche che, come minimo, si prestano a notevoli storture interpretative ed applicative ai comportamenti di certi imam che si tolgono le scarpe per pregare, ma che culturalmente e tatticamente tengono i piedi in due paia di scarpe (l’Islam non violento e quello terrorista).

Non so fino a che punto la preghiera dell’Imam Brahim Baya avesse piena e totale autonomia rispetto al terrorismo di Hamas. Non per questo, facendo un processo alle intenzioni, si può squalificare aprioristicamente un piccolo ma significativo evento religioso. D’altra parte quando recito il “Padre nostro” assieme a cattolici, che magari non conosco, non sto a sottilizzare se siano veramente e sinceramente disposti a rimettere i debiti ai loro debitori. Sarà Dio a scrutare nelle coscienze e a cavare da esse tutto il bene possibile.

Se è vero che la religione diventa pericolosissima quando è strumentalmente legata al potere politico (vale per tutte le religioni e per tutte le epoche storiche), è altrettanto vero che può diventare una provocatoria e positiva spinta a rifiutare gli equilibri bellici di potere. Quindi, pur con qualche perplessità, mi sento di apprezzare l’iniziativa degli studenti dell’università di Torino. Meglio essere positivamente ingenui che negativamente prevenuti.

Le proteste studentesche, pur con tutte le inevitabili contraddizioni che portano con sé, hanno un senso e un peso da valutare seriamente. Gli studenti dovrebbero starsene buoni e zitti di fronte ai crimini di guerra per compiacere una vomitevole difesa dello status quo? Avrà pure un significato il fatto che in tutto il mondo gli universitari stiano protestando contro una guerra pazzesca che va al di là di ogni e qualsiasi regola.

Biden balbetta, Bernini telefona, Von der Leyen sorride, Meloni fa la trottola internazionale e i bambini palestinesi muoiono. Se è vero che i giovani dovrebbero protestare in ugual misura contro tutte le guerre (vedi invasione dell’Ucraina), è altrettanto vero che i governanti occidentali dovrebbero aiutare allo stesso modo (possibilmente senza armi) ucraini e palestinesi contro la Russia e contro Israele. Invece…

“Il massacro di civili a Gaza ha superato ogni limite accettabile”, ammesso che possano esistere limiti accettabili per il massacro di persone umane (militari o civili che siano). In molti lo affermano, anche i rettori delle università. Forse lo stanno facendo anche perché sentono sul collo il fiato delle proteste studentesche. Ben vengano queste occupazioni: so benissimo che hanno in sé qualcosa di trasgressivo, ma a volte serve trasgredire l’ordine costituito quando diventa disordine impartito.

Torno al discorso della preghiera: credo che contenga comunque in sé un valore inestimabile che va oltre eventuali contraddizioni. Dio, se ci crediamo, è capace di ripulire la preghiera dalle nostre incrostazioni mondane. Lasciamo che sia Lui a pulire le nostre preghiere; noi proviamo a gridare, magari sbracatamente e istintivamente contro l’ingiustizia e il male.

Il mio indimenticabile parroco don Sergio Sacchi prestava la sala parrocchiale agli islamici per le loro preghiere comunitarie che si tenevano in contemporanea con le messe celebrate in chiesa: alcuni lamentavano questa sovrapposizione di suoni e questo apparente disordine. Era invece un bellissimo contributo al dialogo interreligioso e al rafforzamento del rapporto degli uomini, di tutte le fedi, con Dio.

“In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi».  

Vale a maggior ragione per scacciare i demòni della guerra, dell’ingiustizia e della barbarie. Il rettore Geuna e la ministra Bernini se ne faranno una ragione, come tutti i benpensanti che si scandalizzano se gli studenti gridano e se gli imam pregano all’università, mentre se ne fregano altamente di chi muore.