Jens Stoltenberg ha invitato gli alleati della Nato che forniscono armi all’Ucraina a porre fine al divieto di usarle per colpire obiettivi militari in Russia. Lo riporta il settimanale The Economist, che ha intervistato il Segretario generale dell’Alleanza. Il chiaro obiettivo di Stoltenberg, anche se mai nominato, è la politica del presidente statunitense Joe Biden – scrive l’Economist – di controllare ciò che l’Ucraina può e non può attaccare con i sistemi forniti dagli americani. (Ansa.it)
L’Ucraina sta perdendo la guerra in nome proprio ma per conto della Nato: non potrebbe essere diversamente. Non sono un esperto di guerre: mi inorridisce soltanto il parlarne. Tuttavia quelli che la sanno lunga sostengono che ci sia un gap tra i due Paesi in fatto di uomini da combattimento e allora ecco spuntare l’insano uovo di Macron che ipotizza l’invio di truppe Nato per combattere a fianco degli ucraini.
C’è però un’altra lapalissiana verità: la guerra non si può fare solo giocando in difesa anche perché la miglior difesa è l’attacco. Ed ecco allora che la Nato con il suo Segretario generale chiede, autorevolmente anche se sgarbatamente, di eliminare i limiti di utilizzo delle armi fornite a Kiev, consentendone l’utilizzo contro obiettivi militari in Russia (la prossima fase, non dichiarata per non cadere nelle grinfie della Corte penale internazionale, non potrà che essere quella di colpire anche obiettivi civili).
I nostri governanti hanno penosamente reagito con strumentale ed elettorale stizza negando l’evidenza delle obbligate prospettive: mai un militare italiano e mai il placet per missili verso il territorio russo. Della serie armiamoci e partite!
Cerchiamo di essere seri. Le possibilità erano tre. O si prevenivano diplomaticamente le cause che hanno portato all’invasione dell’Ucraina (lo spazio per le trattative c’era eccome, lo ammetteva persino Harry Kissinger, non certo un uomo di pace); oppure di fronte all’invasione occorreva un’azione diplomatica fortissima da parte dell’Onu, sostenuta fattivamente dall’Occidente (Usa, Nato, Europa con il possibile coinvolgimento della Cina) e accettata convintamente da Zelensky, che partisse dalla regolazione dei territori a vocazione plurima, lasciando perdere le inutili e controproducenti sanzioni ma operando sul pur delicato terreno delle concessioni; oppure una guerra fintamente difensiva ma sostanzialmente offensiva, portata avanti tra i due blocchi, quello russo e quello occidentale con tutti i tira e molla del caso, con le migliaia di morti sul campo e con le macerie a ingombrare il campo.
Siamo dentro fino al collo nella terza opzione con tutte le conseguenze del caso, ad un palmo dalla guerra mondiale nucleare. D’altra parte chi è che in occidente fa la voce grossa? La Nato, la Francia e la Gran Bretagna, le tre entità dotate di testate nucleari. L’Italia fa la parte del vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro: Giorgia Meloni dà i bacini a Biden, Matteo Salvini grida i suoi velleitari “mai”, Antonio Tajani fa il pesce in barile assieme a Guido Crosetto. La “donabbondiesca” opposizione il coraggio non ce l’ha e mica se lo può dare… Non parliamo nemmeno di Ue, perché ne dovremmo dire di grosse sul passato (a mosca cieca verso la Russia), sul presente (a nascondino verso la Nato) e sul futuro (alla sperindio senza l’aiuto di Dio).
Un copione bellicista pieno zeppo di contraddizioni! La strada segnata è piuttosto cinicamente chiara: mettere in difficoltà Putin, logorandolo con il logorio ucraino, per costringerlo, magari con l’aiuto della Cina (la convitata di pietra), a sedersi ad un tavolo di trattativa offrendogli molto di più di quanto si sarebbe fatto nelle due ipotesi diplomatiche di cui sopra.
L’Ue ospiterà le macerie ucraine, la Nato potrà dire di avere vinto, Putin potrà dire di non avere perso, la Cina potrà dire di essere la più furba, l’Onu proseguirà la sua inazione. E l’Italia? Da lè a niént da sén’na…