Le persone prima dei principi, la vita sociale fuori dalle istituzioni

L’emendamento al decreto per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), in base al quale si prevede che in materia di aborto i consultori possano avvalersi anche della collaborazione di soggetti del terzo settore con una qualificata esperienza nel campo del sostegno alla maternità, ha scatenato un putiferio di polemiche.

C’è chi sostiene che questa possibilità sia perfettamente in linea con lo spirito e la lettera della legge 194; c’è chi pensa che questa novità legislativa comporti una indebita intromissione di soggetti privati in un procedimento di carattere pubblico; c’è chi vede il rischio di creare ulteriori problemi, sensi di colpa e interferenze ideologiche in capo alle donne alle prese con una decisione molto delicata; c’è chi dietro questa iniziativa intravede una politica oscurantista e reazionaria volta a mettere in discussione diritti civili consolidati; c’è addirittura chi fa un collegamento tra l’indebita presenza degli anti-abortisti nei consultori con il ritorno alle classi differenziali per i soggetti svantaggiati, con la revisione e la compressione dei diritti dei soggetti omosessuali etc. etc.

Che in Italia tiri politicamente un’aria viziata in materia di diritti civili ad opera di una maggioranza politica attestata subdolamente sulla nostalgia del “Dio, patria e famiglia” è cosa evidente e pericolosissima. Che la Chiesa cattolica nelle sue propaggini sociali più che nella gerarchia possa coltivare qualche idea di riscossa etico-religiosa, mettendo a repentaglio il concetto di laicità dello Stato, appare verosimile: la storia è vecchia come il cucco se prendiamo ad esempio la crociata anti-divorzista del 1974, in cui il Vaticano mandò allo sbaraglio un comitato costituito ad hoc nonché la Democrazia Cristiana sciaguratamente schierata in una battaglia antistorica che costò molto cara agli equilibri politici successivi.

Vorrei quindi estraniarmi completamente da questo contesto pseudo-ideologico per andare al sodo.

Diceva don Andrea Gallo (cito a senso): «Con una ragazza incinta, sola, magari una giovane prostituta, cerco di portare avanti il discorso del rispetto della vita, faccio tutto il possibile, ma se lei non se la sente, se non riesce ad accettare questa gravidanza, cosa devo fare?». A chi gli chiedeva di esprimersi sul diritto della donna ad abortire rispondeva: «Sta’ a sentire, non incastriamoci nei principi. Se mi si presenta una povera donna che si è scoperta incinta, è stata picchiata dal suo sfruttatore per farla abortire o se mi arriva una poveretta reduce da uno stupro, sai cosa faccio? Io, prete, le accompagno all’ospedale per un aborto terapeutico: doloroso e inevitabile. Le regole sono una cosa, la realtà spesso un’altra. Mi sono spiegato?».

Il mio carissimo amico don Luciano Scaccaglia ricordava così il pensiero profetico del Cardinale Carlo Maria Martin: «Grande studioso della Bibbia, pastore e profeta. Sulle orme di Gesù, partendo dalla giustizia quale conseguenza della fede, era aperto alle persone, non facendosi mai imprigionare dagli e negli schemi,  con una grande attenzione ai non credenti, ai poveri, ai malati, agli indigenti, agli stranieri, agli omosessuali, alle coppie di fatto, ai divorziati risposati, ai detenuti, financo ai terroristi; affrontava serenamente il dialogo con le altre religioni, si poneva, a cuore aperto, davanti alle problematiche sessuali, alla bioetica, all’eutanasia, all’aborto, all’accanimento terapeutico, all’uso del preservativo, al sacerdozio femminile, al celibato sacerdotale. Sempre pronto all’incontro con gli “altri”, con tutti».

Papa Francesco, nella lettera per l’Anno Santo della misericordia, scriveva così: «Ho deciso, nonostante qualsiasi cosa in contrario, di concedere a tutti i sacerdoti per l’Anno Giubilare la facoltà di assolvere dal peccato di aborto quanti lo hanno procurato e pentiti di cuore ne chiedono il perdono».

Parecchi anni or sono, quando andavo a fare visita ad una mia carissima cugina, ricoverata all’ospedale maggiore di Parma in stato di coma vegetativo, mi capitava di imbattermi all’entrata in un gruppetto di donne che recitavano ostentatamente il rosario in riparazione dei peccati riconducibili all’aborto. Mi davano un senso di tristezza e di pochezza. Per non mancare loro di rispetto frenavo l’impulso di interrogarle provocatoriamente: «Ma voi cosa sareste disposte a fare, a titolo squisitamente personale e non sotto copertura di associazioni pro-vita, per una donna sull’orlo dell’aborto? Avreste il coraggio di rispettarne la sofferta decisione per poi aiutarla concretamente senza pretendere di convincerla sbandierando i vostri principi morali? Avreste la generosità di sostenerla a prescindere dalla sua decisione e senza indagare sulle motivazioni a monte di essa?».

Mi risulta che durante un colloquio tra papa Giovanni Paolo II e monsignor Ilarion Capucci venne presa in considerazione la drammatica situazione di monache stuprate per le quali si sarebbe posta l’eventuale possibilità dell’aborto. Monsignor Cappucci era favorevole ad affrontare con grande flessibilità e realismo questi dolorosi casi. Il Papa era drasticamente contrario ad ogni eccezione alla regola antiabortista. Ad un certo punto la tensione salì e il “trasgressivo” porporato chiese provocatoriamente al papa: «Ma Lei Santità crede di essere Dio?». Il papa, probabilmente preso alla sprovvista, non seppe rispondere altro che: «Preghiamo, preghiamo…». Con tutto il rispetto per l’allora papa credo che pregare sia importante, ma non basti.

Dopo queste annotazioni, dietro le quali non mi voglio comunque nascondere ma alle quali voglio soltanto ispirarmi, arrivo ad esprimere il mio modesto parere in tutta coscienza, anche a costo di urtare la sensibilità di chi ha pazienza di leggermi.

Innanzitutto, non accetto di farmi imprigionare nei principi, metto al primo posto il rispetto assoluto per la persona e i suoi drammatici problemi. Credo quindi che direttamente o indirettamente non si debba sbattere in faccia a chi sta prendendo una sofferta decisione alcun ricatto morale, nemmeno offrendo aiuti dell’ultimo minuto o addirittura a tempo scaduto.

In secondo luogo non confonderei la carità cristiana con la furtiva implementazione di procedure previste dalla legge, che vanno scrupolosamente osservate ed accettate, senza forzature moralistiche e senza l’interposizione di obiezioni di coscienza destinate a diventare obiezioni di comodo.

Esiste una dissacrante ma interessante aneddotica sulle buone azioni del cristiano: non devono mettere a posto la coscienza di chi le fa mettendo a soqquadro quella di chi le riceve, non devono creare sensi di colpa per poi cercare di alleviarli, non devono fare la morale agli altri, ma a se stessi.

In terzo luogo vale la pena citare un passaggio del discorso tenuto da Aldo Moro nel 1974, all’indomani della sconfitta della Democrazia Cristiana nel referendum sul divorzio, laddove consigliava “di realizzare la difesa di principi e valori cristiani al di fuori delle istituzioni e delle leggi, e cioè nel vivo, aperto e disponibile tessuto della nostra vita sociale”. Più chiaro e serio di così…