Anche nel giorno di Natale, il Pontefice ha tenuto a ribadire che «per dire “no” alla guerra bisogna dire “no” alle armi. Perché – ha spiegato -, se l’uomo, il cui cuore è instabile e ferito, si trova strumenti di morte tra le mani, prima o poi li userà. E come si può parlare di pace se aumentano la produzione, la vendita e il commercio delle armi?». La gente invece, ha detto il Papa, «non vuole armi, ma pane». La gente «che fatica ad andare avanti e chiede pace, ignora quanti soldi pubblici sono destinati agli armamenti. Eppure dovrebbe saperlo! Se ne parli, se ne scriva – ha chiesto Francesco -, perché si sappiano gli interessi e i guadagni che muovono i fili delle guerre». L’auspicio del Pontefice è invece che si avvicini il giorno profetizzato da Isaia, in cui gli uomini «non impareranno più l’arte della guerra», ma «spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci». (dal quotidiano “Avvenire”)
Se l’appello natalizio papale in favore della pace poteva suonare come stucchevolmente retorico o, per meglio dire, come evangelicamente scontato, il forte richiamo al “disarmo” totale ed incondizionato lo ha reso incisivo e oltre modo “inappellabile”. Sì, un appello inappellabile!
Non è la prima volta che papa Francesco batte su questo tasto, che rende credibile la sua adesione al Vangelo. Il suo è un ragionamento semplice e di immediata comprensione: se si continua a fabbricare armi, prima o poi qualcuno le dovrà pure usare, altrimenti ci sarebbe una paradossale contraddizione sistemica.
Mi ha particolarmente colpito l’invito a rendere edotta la gente degli interessi e dei guadagni che muovono i fili delle guerre. Non è un caso che purtroppo la storia abbia visto la Chiesa benedire addirittura le armi. La recente squallida presa di posizione del patriarca ortodosso Kirill in favore della guerra giusta russa contro la Crimea, interpretata come guerra contro le devianze capitalistiche rispetto ai principi cristiani, va proprio in questa demoniaca direzione. Sarebbe come se alla nascita di Gesù Erode avesse scatenato una guerra contro i Romani, illuminato dalla stella dei Magi.
Posso esagerare e pretendere troppo da papa Francesco? Avrebbe a mio avviso dovuto rifiutare di affacciarsi al balcone di San Pietro davanti ai militari che gli rendevano l’onore delle armi e forse, ancor di più, dovrebbe sciogliere la guardia svizzera o trasformarla, per non creare disoccupazione, in un drappello di operatori della carità.
Pensiamo alle compromissioni vaticane col regime fascista, pensiamo alle titubanze pacelliane verso il regime nazista e l’olocausto degli ebrei, pensiamo a tutte le volte che la Chiesa si è schierata col potere facendo finta di non vedere le armi che lo insanguinano. Non so cosa dica papa Francesco quando incontra i potenti della terra. Spero che abbia il coraggio di scoprire i loro “altaroni” assieme agli altarini della Chiesa.
Non vale la giustificazione di evitare guai maggiori soprattutto ai cattolici oggetto di eventuali rappresaglie da parte dei governanti messi alla gogna e non conta persino il timore di compromettere l’esito degli sforzi diplomatici. Il fatto che immediatamente dopo la celebrazione del Natale si faccia memoria del martire Stefano la dovrebbe dire molto lunga: Stefano non ha taciuto per evitare che la Chiesa fosse minacciata e maltrattata nei suoi componenti…e non si è messo a trattare coi suoi aguzzini (vedi caso si trattava di capi religiosi in combutta col potere).
Ben vengano quindi le coraggiose denunce di papa Francesco contro i costruttori e i fabbricanti di armi, contro i poteri che usano le armi, contro i media che tacciono sulle sporche motivazioni delle realtà belliche. Visto che Francesco ha il coraggio di fare sessanta, perché non fare sessantuno lavandosi ancor più in bocca e soprattutto togliendo di mezzo ogni e qualsiasi aggancio residuale con la logica delle armi? Mi permetto di insistere: dopo un appello così forte per la pace non ci stava la pur piccola e penosa menata militaresca in piazza San Pietro. Così come forse, dopo aver parlato di povertà della nascita del Redentore, non ci sta la pompa magna liturgica natalizia.