Il grande dittatore e il piccolo democratico

A volte, per segnare marcatamente il distacco con cui seguiva i programmi TV, mio padre si alzava di soppiatto dalla poltrona e, quatto-quatto, se ne andava. Mia madre allora gli chiedeva: “Vät a lét?”. Mio padre con aria assonnata rispondeva quasi polemicamente: “No vagh a lét”. Era un modo per ricordare la gustosa chiacchierata tra i due sordi. Uno dice appunto all’altro: “Vät a lét?”; l’altro risponde: “No vagh a lét” E l’altro ribatte: “Ah, a m’ cardäva ch’a t’andiss a lét”.

Stando alle cronache, l’incontro al vertice fra Biden e Xi Jinping ha registrato risultati piuttosto deludenti. Sinceramente mi aspettavo qualcosa di più. Grosso modo si è svolto in un clima simile a quello di cui sopra. Non ci mancava altro che la solita gaffe bideniana.

Uno scivolone imprevisto? Dopo le strette di mani, la passeggiata con tanto di scambi di cordialità, le dichiarazioni concilianti e distensive, il pranzo di gala è arrivata anche la coda polemica. Dopo averlo già bollato come un “dittatore” in estate, il presidente Usa Joe Biden ci è ricascato. Il presidente cinese Xi Jinping, ha detto il capo della Casa Bianca nel corso della conferenza stampa, “è un dittatore, nel senso che governa un Paese comunista, basato su una forma di governo totalmente diversa dalla nostra”. Immediata (e irata) la replica cinese. Per il portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning “questo tipo di discorso è estremamente sbagliato ed è una manipolazione politica irresponsabile. La Cina si oppone fermamente”. (dal quotidiano “Avvenire” – Luca Miele).

Scaramuccia a parte, sembra che il dialogo sia stato finalizzato ad evitare il peggio (peggio di così?!) e non a porre le seppur minime basi per rapporti costruttivi in ordine alla ricerca di assetti pacifici a livello mondiale.

A dettare l’agenda dei due colossi sarà l’instabilità globale. Per Patricia Kim, esperta di Asia al Brookings Institution «le drammatiche crisi in Medio Oriente e nell’Europa dell’Est servono a ricordare a entrambe le parti che, nonostante la feroce rivalità in tutti i settori, né gli Stati Uniti né la Cina beneficiano del caos. Al contrario condividono un forte interesse per un’economia globale stabile». (sempre dal quotidiano “Avvenire” – Luca Miele)

Non so se sia per la complessità e delicatezza della situazione in atto, non so se sia per il basso livello qualitativo dei due leader, non so se sia per la mancanza di visioni strategiche, fatto sta che i due hanno giocato a fare i sordi. E pensare che solo da loro potrebbe venire l’apertura di qualche spiraglio nella ricerca di nuovi ed accettabili equilibri.

Mi viene il sospetto che Stati Uniti e Cina, i due colossi a livello mondiale abbiano entrambi i piedi d’argilla per quanto concerne la loro classe dirigente: il cinese gioca a fare il grande dittatore, l’americano gioca a fare il piccolo democratico.

Non resta che accontentarsi del disgelo, delle strette di mano, di un incontro fine a se stesso. Non so se sia meglio di niente, forse dovevano aspettare di avere concrete reciproche rimostranze da far valere, invece tutto sembra essersi risolto in un confronto educato quanto inconcludente. Speriamo che sia soltanto lo scialbo aspetto esteriore di una diplomazia sotterranea.

E allora viene in mente quell’aneddoto ambientato a teatro: il pubblico rumoreggiava contro il baritono, che, rivolto agli spettatori, osò dire: «Ce l’avete con me? Sentirete il tenore…». Nel caso in questione di baritoni ce n’erano ben due sulla scena mondiale. Quando arriveranno i due tenori? Andrà ancor peggio? Peggio di così!