Stando alle cronache politiche, da prendere sempre con le pinze, ci sarebbe un certo via-vai nelle file altolocate del partito democratico (e non solo). Chi era uscito, ritenendo il renzismo un tradimento moderato del riformismo, rientra nei ranghi giudicando adeguata la svolta massimalista di Elly Schlein; chi stava nel PD, pensando ad un partito modernamente riformista, prende la porta non sopportando gli spintoni radical chic impressi al sonnolento moderatismo lettiano; chi viene dalla tradizione comunista cerca di rifugiarsi nel nuovismo schleiniano, rimanendo tuttavia prigioniero della propria visione burocratica; chi si rifà al popolarismo cattolico cerca spazi di presenza e di proposta, ma si sente all’orfanatrofio.
Lasciamo stare il fatto che in tutti questi movimenti ci puzzi di opportunistico riposizionamento (non c’è da scandalizzarsi più di tanto), resta comunque la spasmodica ricerca di un’identità di sinistra che si ostina a rimanere legata più al passato ideologico che non al futuro programmatico. Il confronto non è sui temi e sulle soluzioni ai problemi, ma sui principi astratti (non sui valori, che sono ben altra cosa), su un ipotetico post-renzismo e su un altrettanto ipotetico filo-moderatismo.
Ho l’impressione che tali disquisizioni siano o almeno rischino di essere uno schematico diversivo rispetto alla politica delle proposte compiute e verificabili nel tempo. È pur vero che una certa qual liquidità è presente in tutte le formazioni politiche: chi è di destra vuol sembrare un moderato di centro-destra, chi è di sinistra vuol apparire come un migliorista-riformista, chi è di centro vuol essere di tutto un po’ taglieggiando l’elettorato stanco di destra e di sinistra. Un gran casino di etichette nelle quali perdersi è il minimo che possa accadere.
Il pluralismo culturale all’interno dei partiti un tempo era considerato una ricchezza da tenere ben stretta, oggi è rifiutato come una debolezza paralizzante. Tutti alla ricerca di un’identità precisa basata più su scorciatoie mediatiche che su elaborazioni socio-politiche. Il partito democratico non riesce a recuperare la sintesi fra cultura cattolico-democratica e cultura socialista, preferendo lanciarsi in avventure di stampo più salottiero che popolare. Fratelli d’Italia, l’altro vero partito, non può fare sintesi fra un passato ingombrante e condizionante e un presente problematicamente sconvolgente. In mezzo c’è un autentico “casinetto”: i due leghismi contrapposti, vale a dire salviniani e contiani, che con Lega e M5S hanno ormai ben poco da spartire; i berlusconiani in cerca di un nuovo impossibile autore, i renziani che seguono a stento le peregrinazioni pseudo-politiche del loro leader (?), i calendiani che non vanno al di là di un timido buonsenso, i cespugli vari che spesso hanno qualcosa di buono da offrire, ma vengono regolarmente soffocati dai tatticismi e penalizzati dai misuratori del consenso.
FdI e Lega vorrebbero cannibalizzare i resti di Forza Italia, il Pd non scioglie il nodo dell’alleanza con i fu grillini. La prospettiva delle elezioni europee, con il sistema proporzionale, rappresenta l’istigazione a delinquere nello schieramento partitico. E allora chi va e chi viene non sposta nulla se non il proprio deretano in cerca di qualche strapuntino e contribuisce soltanto ad avvalorare l’idea di una politica a porte girevoli.
Posso essere brutale? Rimane soltanto l’asfittica contrapposizione fra la cucina cattiva della destra e il salotto buono della sinistra. Gli italiani stanno facendo un po’ di confusione e tendono al momento a preferire un pur triste piatto di minestra rispetto ad un ermetico e variegato menù, la maggioranza silenziosa preferisce digiunare. Dove collocarsi in prospettiva? Ai contemporanei l’ardua sentenza…