«Più che i pericoli di una bomba sociale è il rischio di esclusione di una fetta dei poveri a preoccuparci. Reddito di cittadinanza o no, in Italia manca una misura strutturale di lotta alla povertà». Dopo tre giorni di polemiche furibonde e proteste anche davanti ai Comuni per la sospensione comunicata via sms dall’Inps dell’erogazione del Reddito di cittadinanza ai beneficiari definiti dal governo “occupabili”, il direttore di Caritas italiana, don Marco Pagniello, esprime le perplessità di chi sta in prima linea. «Sappiamo – ammette don Marco, 52 anni, alla guida dell’organismo pastorale della Cei dal novembre 2021 – che ci sono stati diversi “furbetti” del Reddito e che qualcuno non ha più diritto di riceverlo. Nulla di nuovo, la misura andava certamente ripensata e anche noi abbiamo presentato proposte fino al maggio scorso. Ma il Reddito di cittadinanza rappresentava comunque una misura universale di sostegno alle persone in povertà, come lo sono tutti i redditi minimi nei paesi europei. E ora il rischio che qualcuno rimanga escluso c’è e questo continua a preoccuparci» (dal quotidiano “Avvenire”).
«La sostanza è quella di aver fatto recapitare 160mila messaggi per annunciare la sospensione del reddito di cittadinanza. Che era cosa nota. Anche se non lo erano le modalità e sorprende che il governo non abbia ancora emanato decreti attuativi per gli strumenti sostitutivi. Quindi la sostanza è il fatto di non essere pronti sulle annunciate alternative. Da qui a gennaio decadranno in tutto 600mila persone occupabili e a oggi non ci sono gli strumenti di politica attiva del lavoro e la piattaforma che dovrebbe sostituire il Reddito. Parliamo di persone che da un giorno all’altro rimangono senza sussidi. E mancano le opportunità di lavoro per i cosiddetti occupabili. Hanno ribaltato tutta la responsabilità sui Comuni e i servizi sociali, come se potessero salvare chi rimane senza aiuto in poco tempo. Invece dovrebbero prorogare gli strumenti esistenti. Non sono stati attivati percorsi di formazione. Il governo ha dimostrato la sua impreparazione. Cinismo e sciatteria. Il reddito di cittadinanza non è assolutamente assistenzialismo fine a sé stesso. È welfare universale necessario in mancanza di lavoro e presenza di povertà nei Paesi ricchi. Era uno strumento che in Italia mancava a differenza degli altri Stati dell’Unione Europea. In Italia lavorano solo 23 milioni di persone. In Francia ce ne sono oltre 30 milioni. Non si sono create le occasioni di lavoro. Non ci sono gli investimenti. Eventuali posti vacanti in settori avanzati non sono per i percettori del reddito di cittadinanza. Non possiamo lasciare indietro chi non ce la fa. Lo stesso papa Francesco ha chiesto solidarietà nei confronti dei cosiddetti “residui umani” prodotti dal capitalismo. Il problema è anche il ritardo del Sud. Mancano le infrastrutture e le opportunità di lavoro per i giovani. Perché al Sud ci sono più percettori? Si vuol far credere che ci siano fannulloni e furbetti. La verità è che c’è maggiore disoccupazione e povertà, oltre che mancanza di investimenti» (dal quotidiano “Avvenire” – intervista a Pasquale Tridico, docente universitario ed ex presidente dell’Inps dal marzo 2019 al maggio 2023, finito nel mirino di governo e maggioranza per la gestione del reddito di cittadinanza).
È inutile girarci attorno: i poveri danno fastidio per due motivi molto semplici; perché sbattono in faccia ai governanti la loro incapacità a rimuovere le più assurde diseguaglianze del sistema; perché il pianto dei poveri fa emergere lo strapotere dei ricchi che, cascasse il mondo, non piangono mai. Il reddito di cittadinanza era certamente una misura piena di contraddizioni e incongruenze; sicuramente sarà stato applicato col solito pressapochismo; probabilmente si limitava a mettere la pezza nuova dell’aiuto ai senza lavoro sul vestito vecchio dell’inequità sociale e della mancanza di opportunità lavorative per tutti; evidentemente non poteva essere una risposta totale e definitiva ad un problema così complesso e difficile. Di qui a cancellarlo con un colpo di spugna per sostituirlo con vaghe promesse legislative, tutte da concretizzare e da valutare sul piano dell’efficacia sociale, il passo è molto lungo ed impraticabile.
Non accetto la semplificazione che mette tutti i poveri nel calderone dei fannulloni, dei buoni a nulla, dei furbastri, per dirla con un’espressione dialettale molto eloquente, dei “strasacampanén”. Atteggiamento molto comodo…storia vecchia…alibi inattendibile…, che tende addirittura a scatenare autentiche guerre tra poveri, tra chi non ha nulla e chi ha poco, ma quel poco intende difenderlo anche a danno di chi non ha nulla. Se il sindacato fa fatica a compattare e rappresentare chi non ha un lavoro, chi ha un lavoro precario, chi ha un lavoro sottopagato, la politica dovrebbe provarci, altrimenti che politica è. L’attuale governo ha deciso di cavalcare il perbenismo (?) sociale, facendone addirittura un suo tratto identitario: chi non lavora non mangia, non fa l’amore e soprattutto non vota a destra.
Ma su quale divano volete che possa sdraiarsi un percettore di reddito di cittadinanza, anche ammesso che non abbia tutti i diritti a riscuoterlo e non abbia una gran voglia di lavorare. I problemi non si affrontano partendo dalla fine. Solo dopo aver procurato una dignitosa opportunità lavorativa ad un soggetto disoccupato si potrà considerarlo uno che vuole vivere alle spalle della società. “Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita”: così dice un antico proverbio cinese. La destra sociale(?) italiana al governo ha cambiato il proverbio: “Non dare pesce a un uomo e lo costringerai ad imparare a pescare”. E se non c’è l’acqua in cui pescare? Si può sempre provare nei pantani dello sfruttamento e delle mafie di turno. Salvo poi essere paradossalmente considerati fiancheggiatori della malavita organizzata. Sì, perché chi non lavora può anche finire col delinquere pur di sopravvivere…