I poveri nel Calderone pseudo-liberista

Botta e risposta sul salario minimo tra la ministra del Lavoro Marina Calderone e la segretaria del Partito democratico Elly Schlein. «Non sono convinta che al salario minimo si possa arrivare per legge». Così la ministra, conversando coi cronisti a margine del Festival del Lavoro di Bologna. «Noi siamo attenti a tutte le dinamiche del mondo del lavoro e siamo convinti che si debba investire sulla contrattazione collettiva di qualità. Secondo Calderone, «in ambito comunitario la direttiva stessa dice che al salario minimo si possa arrivare attraverso diversi percorsi». «Si può sostenere la contrattazione di qualità anche con percorsi di rinnovo contrattuale attraverso detassazione» e con «agevolazioni fiscali e contributive. Voglio lavorare molto sulla contrattazione nazionale di secondo livello per cercare di dare un aiuto concreto al rinnovo dei contratti», conclude.

«La ministra del Lavoro dice che non serve una legge sul salario minimo. A lei e al governo vorrei ricordare che ci sono tre milioni di lavoratrici e lavoratori poveri in Italia e che questo governo non può non capire che sotto una certa soglia non si può parlare di lavoro, ma è sfruttamento. La proposta delle opposizioni rafforza la contrattazione collettiva perché fa valere per tutti i lavoratori di un settore la retribuzione complessiva prevista dal contratto comparativamente più rappresentativo. E fissa anche una soglia di nove euro l’ora, sotto la quale non si può scendere nemmeno nella contrattazione. Questo per garantire una giusta retribuzione anche dove la contrattazione non c’è o dove è fatta da contratti pirata», afferma in una nota la segretaria del Pd. (dal quotidiano “Avvenire”)

Il liberismo puro, quello a cui hanno da tempo rinunciato anche i liberali più intelligenti e lungimiranti, diventa l’arma difensiva verso un provvedimento sacrosanto, che non ha nulla di dirigistico e tanto meno di comunista. Si tratta del minimo dovuto a chi lavora, una sorta di reddito di sopravvivenza. La destra ne ha paura: il reddito di cittadinanza non va bene perché premia i fannulloni, il salario minimo non va bene perché garantisce i lavoratori a prescindere. Che razza di mentalità!? Siamo sempre all’autodifesa identitaria di una destra che non sa guardare oltre il proprio naso ideologico. E poi si dice che le ideologie sarebbero finite?

Non credo che fissare un tetto salariale minimo di nove euro all’ora possa essere considerato una misura demagogica. Se l’economia privata non è in grado di rispettare una tale disposizione legislativa vuol dire che si basa non sul presupposto della produttività del lavoro ma su quello dello sfruttamento del lavoro.

Diversamente, cosa ci sta a fare il governo di fronte ad una economia del genere. Non nascondiamoci dietro la contrattazione collettiva: un conto è una legge, un conto è un contratto collettivo che non ha comunque forza di legge se non solo in certi casi. Spero che il sindacato non se ne abbia a male se interviene una legge a difendere i diritti dei lavoratori più deboli ed esposti.

Ho militato a suo tempo nella Democrazia Cristiana aderendo alla corrente della sinistra di matrice sindacal-aclista, guidata all’ora da Carlo Donat Cattin, ricordato a buon diritto come il “ministro dei lavoratori” e non “del lavoro”, come lui stesso amava definirsi, per la sua lunga battaglia per i diritti dei lavoratori, a partire dal suo ingresso nelle Acli e nella Cgil/Corrente sindacale cristiana nel 1945.

Forse si scaravolterà nella tomba nel sentire un suo successore disquisire liberisticamente sulla pelle dei poveri diavoli. Non affondo ulteriormente il coltello nella piaga già sufficientemente profonda. Spero solo che prima o poi salti fuori un medico non pietoso, che la faccia guarire e non diventare puzzolente: un medico molto più coraggioso ed obiettivo di Marina Calderone.