Un uomo, una donna, due vescovi

Lo ha fatto dalle pagine de “La Repubblica” Concita De Gregorio. Non ho letto, per non esserne influenzato, il suo raffronto fra le due omelie tipiche di questi giorni: quella tenuta dal cardinal Delpini, vescovo di Milano, alle esequie di Silvio Berlusconi, quella del cardinal Zuppi, vescovo di Bologna, tenuta alle esequie di Flavia Franzoni Prodi. Provo a fare questo accostamento con le mie personali riflessioni.

Riporto le parole spese sulla vita di Berlusconi.

Essere contento e amare le feste. Godere il bello della vita. Essere contento senza troppi pensieri e senza troppe inquietudini. Essere contento degli amici di una vita. Essere contento delle imprese che danno soddisfazione. Essere contento e desiderare che siano contenti anche gli altri. Essere contento di sé e stupirsi che gli altri non siano contenti. Essere contento delle cose buone, dei momenti belli, degli applausi della gente, degli elogi dei sostenitori. Godere della compagnia. Essere contento delle cose minime che fanno sorridere, del gesto simpatico, del risultato gratificante. Essere contento e sperimentare che la gioia è precaria. Essere contento e sentire l’insinuarsi di una minaccia oscura che ricopre di grigiore le cose che rendono contenti. Essere contento e sentirsi smarriti di fronte all’irrimediabile esaurirsi della gioia. Ecco che cosa si può dire dell’uomo: un desiderio di gioia, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento.

Quando un uomo è un uomo d’affari, allora cerca di fare affari. Ha quindi clienti e concorrenti. Ha momenti di successo e momenti di insuccesso. Si arrischia in imprese spericolate. Guarda ai numeri a non ai criteri. Deve fare affari. Non può fidarsi troppo degli altri e sa che gli altri non si fidano troppo di lui. È un uomo d’affari e deve fare affari.

Quando un uomo è un uomo politico, allora cerca di vincere. Ha sostenitori e oppositori. C’è chi lo esalta e chi non può sopportarlo. Un uomo politico è sempre un uomo di parte.

Quando un uomo è un personaggio, allora è sempre in scena. Ha ammiratori e detrattori. Ha chi lo applaude e chi lo detesta. 

Silvio Berlusconi è stato certo un uomo politico, è stato certo un uomo d’affari, è stato certo un personaggio alla ribalta della notorietà.

Ma in questo momento di congedo e di preghiera, che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. E ora celebriamo il mistero del compimento.

Ecco che cosa posso dire di Silvio Berlusconi. È un uomo e ora incontra Dio.

Riporto di seguito anche le parole spese sulla vita di Flavia Franzoni Prodi.

Ecco Flavia, che ha imparato tanto da Gesù mite e umile di cuore. Mite lo è sempre stata, con quel radicalismo dolce che era la sua fermezza e che la coinvolgeva intimamente alle vicende del prossimo. Amava i piccoli. Riservata, in un mondo sguaiato, pieno di vanagloria, davvero vana, di penosa esibizione perché riduce l’amore ad apparenze. Flavia preferiva la sobria e solida vicinanza alla vita vera, partendo dai più fragili, legandosi a loro nella sua ricerca accademica mai chiusa nei corridoi, facendo i luoghi dell’umanità le vere aule dove imparare e vivere, da studiare con cuore e intelligenza, con curiosità e interesse, per provare l’urgenza di cambiare e la programmazione per costruire le soluzioni. E generosità significa anche passare il proprio sapere senza appropriarsene, consegnarlo agli altri, perché non ne ha mai fatto strumento di potere ma di servizio. ‎Generosa ma non accomodante. Si schernirebbe e, a questo punto, mi inviterebbe alla sobrietà! Però è giusto ricordare come con Achille Ardigò, e tanti altri, scelse una branca della Sociologia vicina alle marginalità, che per certi versi verifica e corregge le decisioni degli economisti, certi tagli alla spesa, ad esempio, con conseguenze spesso lasciate a chi viene dopo, perché vede il mondo a partire dai poveri e non viceversa. Con tanta passione civile per i servizi sanitari e sociali, uniti alla comunità umana, come l’assistenza domiciliare che ha dentro una comunità che rende la città casa, indispensabile perché sia pubblica e universalistica, con prossimità e cura, con la pazienza di un lavoro all’uncinetto. Con intelligenza una sua amica ha scritto che Flavia riportava ogni cosa al suo senso profondo, in politica, nelle relazioni occasionali e in quelle profonde, familiari. Era come se lei avesse la bussola. Ci si può smarrire, senza un orientamento così. Ma anche ritrovare, certo, definitivamente. E questa bussola ci porta nel cuore di Gesù, vince e vincerà ogni solitudine.

Emergono, al di là delle differenti esperienze, due modi di intendere la fede, due mentalità di vita, due impostazioni esistenziali e, se vogliamo, anche due diversi approcci della comunità cristiana al ricordo delle persone.

Nel primo caso siamo al ritratto di un uomo che ha agito in proprio, da uomo in balia dei suoi desideri, che ha interpretato a suo modo le beatitudini evangeliche; nel secondo caso siamo davanti all’esistenza di una donna che si è sforzata di prendere alla lettera le beatitudini evangeliche improntando ad esse le sue scelte di vita.

Per quanto riguarda gli omileti, nel primo caso abbiamo uno stile ecclesiale molto abilmente diplomatico e distaccato, una perfetta (?) combinazione tra il dire e il non dire, fra il dire quello che tutti hanno visto e che vede la gente e il non dire quello che dice il Vangelo per paura di giudicare e disturbare il giudizio mondano.

Nel secondo caso lo stile omiletico è molto evangelico e poco diplomatico, una analisi che va oltre le apparenze che ingannano e fruga nel segreto di una vita che ha portato avanti la testimonianza del “non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra”, senza santificazione di sorta ma con piglio coraggiosamente costruttivo.

Due modi di essere uomo, donna e vescovo. Giudicherà il Padre Eterno!