La pignatta riformatrice

Ho la netta sensazione che il discorso della giustizia nel nostro Paese soffra di un acceso e distruttivo clima di contrapposizione tra magistratura e politica. Da una parte chi amministra la giustizia ha avuto ed ha la tentazione di combattere il malcostume politico infierendo con troppa disinvoltura sui comportamenti dei governanti e degli amministratori pubblici a tutti i livelli. Dall’altra parte la politica si difende a lumaca vale a dire rinchiudendosi nel proprio recinto e cambiando le leggi per sgattaiolare fuori dalla portata giustizialista e tentando più di depotenziare la magistratura che di moralizzare la vita pubblica.

L’art. 323 del Codice Penale recita: Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità”.

Il Consiglio dei ministri ha approvato la riforma della giustizia proposta dal guardasigilli Carlo Nordio. Il testo, tra l’altro, elimina il reato di abuso d’ufficio.  E quale sarebbe la motivazione? Per evitare l’abuso dell’abuso d’ufficio che avrebbe paralizzato le procedure burocratiche e che viene considerato afflittivo nella fase delle indagini per le ombre sull’immagine degli amministratori ma scarsamente incisivo visto che l’approdo in dibattimento avviene in un numero molto limitato di casi (nel 2021, ci sono stati solo 18 casi di condanna dopo il dibattimento di primo grado).

In buona sostanza si vuole eliminare il reato perché spaventa e condiziona il comportamento dei pubblici ufficiali sui quali graverebbe la spada di Damocle dell’abuso d’ufficio. Può darsi che sia effettivamente diventato uno spauracchio e una fattispecie esageratamente perseguita dalla magistratura inquirente. Non mi convince però l’argomentazione politica del ministro che cancella con un tratto di penna un reato perché viene brandito come arma impropria dai giudici.

Non sono un giurista, ma resto molto perplesso e mi chiedo: d’ora in poi, se un pubblico ufficiale effettivamente abusa del suo potere, chi lo ferma? Non sono in grado di valutare se nel contesto di questa riformina il discorso sia stato recuperato con altre norme più leggere e più agibili.

Mi pare che il ragionamento di fondo sia questo: dal momento che la magistratura esagera indagando a destra e manca alla ricerca degli abusi, facciamo finta che gli abusi non ci siano più e speriamo bene. Al giustizialismo dei giudici si contrappone il garantismo assoluto a favore di chi amministra. Non mi sembra una contrapposizione seria e costruttiva. Al rischio di un atto di sfiducia pregiudiziale dei magistrati verso la pubblica amministrazione si risponde con un atto di sfiducia verso la magistratura scippandola di una norma di riferimento.

Lungi da me santificare i giudici, ma lungi da me anche colpevolizzarli ante litteram cancellando una loro giurisdizione. In questo clima non si può riformare la giustizia. Non so se sia costituzionale il comportamento del ministro Nordio, ma certamente l’approccio non è equilibrato ma fazioso.

Mi pongo una provocatoria domanda: quali serie riforme si possono impostare quando il premier considera “pizzo di Stato” le tasse e il ministro della giustizia “pizzo dei giudici” le indagini sugli abusi degli amministratori pubblici. Ci sarà pure un modo serio per rendere equa la tassazione senza perseguitare i contribuenti ed equa l’amministrazione senza perseguitare gli amministratori. La politica dovrebbe cimentarsi in tal senso e non giocare alla pignatta col riformismo.