La bärca di cojón e l’ärca äd Noè

L’ormai lungo periodo che stiamo vivendo è caratterizzato dalla catastrofica concatenazione di eventi tali da costringerci a rivedere tutti gli schemi esistenziali della nostra vita. La pandemia da covid con i suoi milioni di morti, che chiude il cerchio su tutti quanti non riescono a nascere e vivere in condizioni umanamente accettabili fino a perdere la vita stessa o a doverla soffrire come una condanna forse peggiore della morte; la guerra in Ucraina, che chiude il cerchio di tutte le guerre sparse nel mondo che creano morte, lutti e rovine; i disastri ambientali che buttano all’aria strutture e infrastrutture e fanno tabula rasa dell’organizzazione personale, famigliare e societaria quando e se risparmiano l’incolumità delle persone direttamente o indirettamente colpite; il fenomeno migratorio, che segna la reazione disperata delle persone all’impossibilità di vivere in presenza di tutti i suddetti fenomeni, nella scommessa di provare a cambiare la sede della propria esistenza.

Non c’è individuo o comunità che si possa chiamare fuori da questi scombussolamenti: io speriamo che non me la cavo!  Non si sa da dove cominciare. La tentazione è sempre quella di partire dalla politica, che non riesce minimamente ad incidere sulla realtà, ma anzi tende ad eludere o addirittura a nascondere i problemi. Si pensi alla distrazione di massa perseguita con il progetto del ponte sullo stretto di Messina: semplicemente pazzesco concepire una simile cattedrale nel deserto di un territorio disastrato. Eppure sta diventando una squallida prova identitaria per una politica che non vuole affrontare la realtà, ma giubilarla.

Non si tratta di transizione ecologica o di economia compatibile, ma di rifondare la società rivedendone i valori e i modi di essere. Deve cambiare il modo di produrre, di lavorare, di mangiare, di bere, di respirare, di curare la propria salute etc. etc. È tutto da rifare!

Non è sufficiente vivere, occorre convivere, capovolgere l’approccio alla vita stessa. Non so se potrà ancora esistere uno spazio per l’arricchimento se prenderemo atto che le risorse devono essere equamente distribuite prima di essere egoisticamente consumate. Non so se potrà ancore esistere il divertimento, ammesso e non concesso che qualcuno abbia ancora voglia di divertirsi. Non so se si potrà stare tranquilli dal momento che tutto sembra cascarci addosso. Fare figli non dovrà essere la velleitaria risposta alla denatalità imperante, ma lo risposta essenziale alla domanda di vita che sorge paradossalmente dalle vittime della povertà, dell’ingiustizia, delle malattie, delle guerre e delle violenze.

Mi raccontavano di un anziano che, nel bel mezzo di certe situazioni di grave confusione, si poneva una domanda retorica: “In dò sèmmia? In-t-la bärca di cojón?”. Ebbene forse ho fatto solo qualche farneticante (?) esempio in risposta al dramma della vita che ci sfugge di mano. Ce n’è per tutti i gusti, ognuno dovrà fare la sua parte. Il peggiore inizio sarebbe quello di pensare di poter sfuggire. Durante una trasmissione televisiva di commento alle alluvioni romagnole ci si è rivolti al sindaco di Bologna, considerando la sua città fortunata dal momento che è stata solo lambita dai disastri climatici. Fortunata? Non direi proprio. O entriamo nella logica “mors tua mors mea” o, per dirla in positivo, “vita tua vita mea”, altrimenti siamo tutti spacciati.

“In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici.  Prendendo la parola, Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte?  No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.  O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo»”.