Un direttore senza orchestra

C’è un’espressione dialettale parmigiana un po’ triviale, ma che rende bene l’idea: “Al ne sa in dò tgnir al cul”. Si dice di persona irrequieta, “c’la vol ciapär dapartútt e la ‘n sa in dò ciapär”. Definizioni che ben si attagliano a Matteo Renzi, il quale dopo aver fatto il sindaco, ha fatto il segretario del PD, il capo del governo per poi ripiegare sul seggio parlamentare, sul ruolo di leader politico, di conferenziere a go-go e adesso anche di direttore editoriale del quotidiano “Il riformista”. Temo che, come spesso accade, finisca col far male tutto.

La sua opera nel PD fu per certi versi meritoria, pur ammantata di nuovismo a tutti i costi e di sbrigativa rottamazione altrui. Come capo del governo, partito col piede sbagliato della slealtà (in politica si dice che sia un optional), aveva dato una bella svolta in senso dinamico per poi esagerare col riformismo al punto da diventare bersaglio di tutto il conservatorismo alleato contro di lui. Ammetto di avere nutrito in Renzi qualche speranza, probabilmente mal riposta anche se il soggetto non era e non è da sottovalutare e tanto meno da disprezzare.

Il fiuto politico non gli manca anche se viene usato più per distruggere i progetti altrui che per costruirne dei propri. Una volta uscito dal PD sbattendo la porta, si è ripromesso di frantumarlo per poi raccoglierne i cocci più interessanti e, sotto-sotto, questo pensiero rimane nei suoi desiderata. Ha contribuito a distruggere l’alleanza PD-M5S, dopo averne favorito la nascita a livello governativo, puntando sul cavallo giusto, vale a dire Mario Draghi: forse ha, come si suole dire, voluto mettere il cappello sopra un’operazione ben più altolocata.  Ha indubbiamente rotto le uova nel paniere di quanti farneticavano durante l’elezione del presidente della Repubblica, stoppando una mossa vertiginosa che stava prendendo piede, vale a dire la nomina a capo dello Stato del capo dei servizi segreti, un’autentica follia istituzionale.

Poi arriviamo al terzo polo, all’alleanza tattica con Carlo Calenda: due personaggi in cerca d’autore, usciti malconci dalle urne e ossessionati dalla ricerca di uno spazio politico al fantomatico centro, con successive mosse di dubbio gusto nei confronti del governo di destra, solo per distinguersi ad ogni costo.

Capito il mezzo disastro dell’operazione terzopolista, Matteo Renzi si è rivolto a Carlo Calenda: “Va’ avanti ti c’am scapa da ríddor”. Dopo di che ha pensato bene di occupare uno spazio culturale (?) e mediatico in quell’agognato centro moderato, che tutti cercano e nessuno trova (perché non esiste). Si metterà a fare un giornale quotidiano, cavalcando l’opinione pubblica (già) stanca di una destra incapace di governare e di una sinistra capace solo di litigare, raccogliendo appunto pezzi di elettorato a destra e sinistra tra i cattolici imbarazzati e i laici scontenti?

Restano due punti oscuri. Uno di tipo professionale: checché se ne dica, non ci si può improvvisare direttori di un giornale, se non andando indietro nel tempo quando i politici dirigevano gli organi di partito; mi sembra una scommessa a dir poco azzardata. Uno di tipo politico: dov’è questa gran voglia di centro che albergherebbe nell’animo degli italiani? Sembra più il rifugio dei senza tetto che la casa degli scontenti, magari un po’ l’una e un po’ l’altra, ma siamo a livello di minimi sistemi.