La Milano-Sanremo elettorale

Del festival di Sanremo non mi interessa un cavolo, lo considero un’arma di distrazione di massa in difesa del consumismo di massa. Sono però rimasto incuriosito dal dibattito che intorno ad esso si è scatenato e continua a tenere banco. Dopo Dante Alighieri (sic!) anche Sanremo è finito sotto inchiesta per verificare se sia di destra o di sinistra.

Io, nella mia ingenuità avrei attualmente e sbrigativamente risposto di “destra” nel senso che serva a dare una visione godereccia e divertente della società funzionale al potere. Quando l’ho addirittura visto legittimato in apertura dalla kermesse costituzionale alla presenza del Capo dello Stato, mi sono detto: “É fatta, è partito un perfetto assist per la destra al potere…”.

Invece ho imparato che a Sanremo si sarebbe fatta campagna elettorale per la sinistra a suon di volgari trasgressioni e di diritti (in)civili, al punto che parecchi autorevoli (?) commentatori, davanti ai risultati delle elezioni regionali hanno parlato di vittoria della destra (o del centro-destra come dir si voglia) nonostante Sanremo, arrivando addirittura, tra il serio e il faceto, a tentare un parallelismo qualitativo e quantitativo fra la percentuale di ascolti sanremesi e quella delle astensioni dalle urne in Lombardia e Lazio.

Non ho capito se si volesse fare dell’ironia su Sanremo e/o sulla sinistra o se si intendesse, molto più probabilmente, ridicolizzare la sinistra che, non sapendo più da che parte voltarsi per ottenere consensi, si affiderebbe al circo equestre dello spettacolo leggero spacciato per pesante. Qualcuno avrà magari pensato anche ai rave party, che c’entrano come i cavoli a merenda.

Fatto sta che, complice gran parte dei media, si sta teorizzando la spartizione della società fra il tartufesco perbenismo, interpretato e rappresentato dalla destra, e lo strumentale anticonformismo della sinistra: una sociologia spicciola e balorda, che sta solo elaborando sistematicamente la realtà della politica ridotta a futile chiacchiera.

Così facendo si finisce col favorire l’inculturazione totale della politica e col mettere a rischio e banalizzare la democrazia.  Se andiamo avanti di questo passo, la democrazia diventerà luogo riservato a chi vuol scherzare. Non sarà più questione di scegliere pragmaticamente il meno peggio, ma di giocare al tanto peggio tanto meglio. Stiamo trasformando la democrazia da sistema a sovranità popolare a regime in rappresentanza del nulla. E a chi è morto per conquistarcela e a chi si è dato da fare per svilupparla non resterà che scaravoltarsi nella tomba.

A proposito, mio padre considerava l’ultimo atto del Trovatore di Verdi come la tomba dei tenori, vale a dire la prova del nove della loro adeguatezza al ruolo, che spesso finiva coi fischi. Non vorrei che fossimo arrivati all’ultimo atto della politica, vale a dire alla verifica della sua capacità a riempire di contenuti le istituzioni democratiche. Come finirà? Applausi per il soprano Cocomeri e fischi per gli altri interpreti?  La mia esperienza teatrale mi insegna che non può finire così, perché alla fine il fiasco non salva niente e nessuno.