La burocratica cosmesi del razzismo

Il decreto legge sulle Ong, come era facile prevedere, è stato fortemente bacchettato dal Consiglio d’Europa e quindi il governo italiano dovrà considerare la possibilità di ritirare il decreto stesso oppure adottare durante il dibattito parlamentare tutte le modifiche necessarie «per assicurare che il testo sia pienamente conforme agli obblighi del Paese in materia di diritti umani e di diritto internazionale». È quanto chiesto da Dunja Mijatovic, commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, in una lettera inviata al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, il 26 gennaio scorso. Il governo italiano ha già replicato, definendo «infondati» i rilievi mossi dall’organizzazione di Strasburgo.

Mijatovic osserva di «essere preoccupata che alcune delle regole contenute nel decreto ostacolino la fornitura di assistenza salvavita da parte delle Ong nel Mediterraneo centrale». In particolare, secondo la commissaria, le disposizioni del decreto, prevedendo che le navi debbano raggiungere senza indugio il porto assegnato per lo sbarco di chi è stato salvato, impediscano alle Ong di effettuare salvataggi multipli in mare, costringendole a ignorare altre richieste di soccorso nell’area se hanno già delle persone a bordo. Mijatovic evidenzia che «rispettando questa disposizione, i comandanti delle Ong verrebbero di fatto meno ai loro obblighi di salvataggio sanciti dal diritto internazionale».

 Inoltre Mijatovic afferma di essere inquieta del fatto che «alle navi delle Ong sono stati assegnati, come porti sicuri, luoghi lontani nel centro e nord Italia», un fatto che tra l’altro «prolunga le sofferenze delle persone salvate in mare e ritarda indebitamente la fornitura di un’assistenza adeguata a soddisfare i loro bisogni primari». «Mi risulta – scrive Mijatovic – che l’adozione di questa prassi sia nata dall’intenzione di assicurare una migliore ridistribuzione dei migranti e dei richiedenti asilo sul territorio nazionale. Questo obiettivo potrebbe essere raggiunto sbarcando rapidamente le persone soccorse e assicurandosi che ci siano accordi pratici alternativi per ridistribuirle in altre zone del Paese».

Il terzo appunto di Mijatovic riguarda «l’indeterminatezza della nozione di “conformità ai requisiti tecnici” contenuta nel decreto e che potrebbe portare a lunghe e ripetute ispezioni di sicurezza delle imbarcazioni delle Ong, impedendo loro di riprendere il lavoro di salvataggio». La commissaria tocca, infine, altri due punti che riguardano la politica migratoria italiana. Da un lato chiede al governo di sospendere la cooperazione con la Libia e dall’altro chiede informazioni «sulle accuse, contenute in alcuni rapporti dei media, circa la pratica di rimpatrio di persone dall’Italia alla Grecia su navi private, dove gli individui sono privati della libertà in condizioni molto preoccupanti e senza aver avuto la possibilità di presentare una domanda d’asilo in Italia» (resoconto tratto da Il sole 24 ore).

Quando vedo e ascolto il ministro Matteo Piantedosi vengo colto da un senso di paura: sì, è un governante che mi fa paura, perché associa l’arroganza degli alti burocrati alla insensibilità sociale dei politici della peggior destra, perché dà maldestra copertura tecnico-giuridica alle scelte politiche improntate alla ricerca di ordine e sicurezza pubblica sulla pelle dei soggetti più deboli ed indifesi, perché ammanta di formale perbenismo legalitario un sostanziale attacco ai diritti umani.

Ritengo sia il fronte più pericoloso dell’attività del governo Meloni. Gli appunti mossi a livello europeo sono puntuali e sacrosanti e l’Italia ci fa una gran brutta figura da tutti i punti di vista: politico, sociale, umanitario. L’immediata replica governativa è presuntuosa e supponente. Anche il più sprovveduto degli osservatori politici constata che quel decreto ha solo ed unicamente lo scopo di creare difficoltà all’attività delle Ong a costo di danneggiare i migranti, esponendoli ad ulteriori gravi rischi: un modo burocratico ed asettico di affrontare una problematica delicatissima che tocca nel vivo della carne umana.

Non ho idea di come finirà la questione. Mentre il Consiglio Europeo e il Governo Italiano cercheranno di quadrare il cerchio, i migranti moriranno in mare o saranno comunque sottoposti ad ulteriori sofferenze. Tutto per tener fede alle spudorate promesse elettorali, che volevano dare assurde garanzie di blocco delle migrazioni sul nostro territorio.  Dal momento che i porti non si potevano chiudere si è inventata una regola per la quale bisogna sbarcare i migranti laddove viene deciso dall’autorità amministrativa a prescindere dalle loro esigenze sanitarie ed umanitarie. Dal momento che le Ong danno molto fastidio in quanto denunciano coraggiosamente e provocatoriamente l’inerzia dei pubblici poteri, verranno subissate di controlli che finiranno col pregiudicare la continuità e la razionalità della loro attività. Dal momento che non si può frenare l’emorragia si punta a mettere i migranti sotto il tappeto dei lager libici o li si rimpatria in modo sbrigativo e senza rispetto dei diritti delle persone.

Se gli Italiani per dormire sonni tranquilli (?) sono disposti a creare veri e propri incubi alle persone bisognose di aiuto, siamo veramente giunti al capolinea della democrazia: ecco da dove viene la mia paura. Tutto ciò è una forma di razzismo bello e buono. E pensare che il ministro Valditara parlando alla cerimonia di celebrazione della Memoria per la Shoah ha avuto il becco di ferro di citare Giorgio La Pira per quanto riguarda la difesa dei diritti della persona umana. La Pira si scaravolterà nella tomba o soffrirà dall’aldilà nel vedere simili scempi (dis)umanitari. Io mi vergogno di essere italiano, corro a vomitare per un tale modo di (s)governare, faccio fatica a prendere sonno quando penso a come l’Italia (non) soccorre chi è disperato.