Aquile randagie ieri, oggi e sempre

Ho rivisto con grande commozione il film che ricostruisce l’azione di un gruppo di scout che, dopo la messa fuorilegge del loro movimento da parte del regime fascista, non si arresero e impostarono un’eroica azione di contestazione e resistenza non violenta. Il film prende in considerazione la cellula milanese di questo movimento, che si diede significativamente il nome di “Aquile randagie”. Ci fu un gruppetto di aderenti anche a Parma, guidato da mio zio don Ennio Bonati. Infatti i protagonisti principali del film sono don Giovanni Barbareschi e don Andrea Ghetti, suoi grandi amici e ispiratori della sua “azione partigiana”.

Forse si spiega anche così la mia testarda e ideologica (sic!) opposizione all’attuale governo di Giorgia Meloni, in base all’intransigente richiamo a questo coinvolgente passato fatto di antifascismo etico e culturale prima che politico. Ha sbagliato di grosso il nostro premier a paragonare la resistenza armata ucraina solo al Risorgimento italiano. Probabilmente lo ha fatto per evitare spiacevoli, per lei, richiami alla resistenza italiana al nazi-fascismo prima e durante la seconda guerra mondiale. Il paragone giusto e opportuno era quest’ultimo, in due sensi: in senso storico per le analogie fra le due situazioni, ma anche in senso politico-culturale, perché la Resistenza italiana, nonostante qualche brutta trasgressione soprattutto a fine guerra (significativo il rifiuto categorico delle Aquile randagie alla vendetta), seppe combinare magistralmente e paradossalmente la non violenza (vedi Aquile randagie e non solo) con la lotta armata.  E Dio sa quanto bisogno ci sia di considerare l’opposizione all’invasione russa non solo dal punto di vista militare (si parla, si discute si agisce solo su questo piano inclinato), ma anche di vederne e praticarne gli aspetti non violenti di un rifiuto, aprioristico ed a tutti i costi, della guerra, che dovrebbe scuotere tutte le coscienze e obbligare la politica a scegliere la strada della trasparente e convincente diplomazia.

Mi sembra necessario il richiamo storico all’antifascismo (non allo spauracchio del fascismo), che non è affatto, mi riferisco all’antifascismo, fuori luogo, ma è e dovrebbe essere, nei suoi valori perenni inseriti nella nostra Costituzione, vivo e vegeto, anche nella prassi politica e governativa.  Non si tratta di evocare fantasmi del passato, né di attaccarsi a contrapposizioni manichee fra destra e sinistra, ma di trarre dal passato imprescindibili ed unificanti insegnamenti, validissimi anche per il presente. Non dobbiamo avere paura della politica passata e presente, di cui nonostante tutto abbiamo bisogno (lo dimostra la carenza politica nell’approccio esclusivamente militare al problema della guerra), e non dobbiamo sottovalutare i buoni valori che ci hanno insegnato, testimoniato e tramandato persone come le Aquile randagie.

Non è mai nelle mie intenzioni innescare polemiche politiche asfittiche. Forse vivo con troppa partecipazione emotiva l’attuale momento storico e questo può essere magari equivocato come faziosità. Ritengo giusto comunque esprimere le mie idee pur senza pretesa di possedere la verità. Si tratta delle mie rette intenzioni, nella mia totale disponibilità (nota a tutti) al dialogo ed al confronto: un contributo che, partendo dal passato, vuole essere di aiuto al difficile presente.

Il caso (?) ha voluto che, quasi in contemporanea con la visione del film di cui sopra, abbia potuto leggere la testimonianza di tre donne (anche tra le Aquile randagie c’era la stupenda e affascinante presenza femminile e giustamente il film la mette in rilievo) di oggi, Olga, Kateryna e Darya, che lavorano insieme per boicottare il conflitto russo-ucraino, tre attiviste di Bielorussia, Ucraina e Russia, simbolo della nonviolenza: aiutano i giovani a obiettare e disertare il conflitto voluto da Putin (vedi articolo di “Avvenire” a firma Luca Liverani), a dimostrazione come non sia assolutamente vero che non si possa fare nulla al di fuori della logica delle armi.

La lezione delle Aquile randagie di ieri e dei testimoni nonviolenti di oggi ci dovrebbe scuotere e indurre almeno a far sentire coraggiosamente la voce dissonante di chi vuole cercare la pace. Mio zio Ennio, tra le tante testimonianze di vita che ha lasciato, mi e ci dà anche un preciso e concreto messaggio di pace.

L’emozionante ricordo della testimonianza esistenziale di mio zio Ennio sacerdote, inquadrata anche e non solo nella meravigliosa azione delle Aquile Randagie, costituisce un esempio fulgido e coraggioso di combinazione tra fede e impegno civile, vissuti in modo eroico. Queste memorie storiche ci possano indurre a una scelta a favore della ricerca della pace, uscendo dal tunnel di una catastrofica logica di guerra.