Tra spogliarello burocratico e impudicizia politica

“Che il sistema delle spoglie funzioni male, è sotto gli occhi di tutti. Se avesse funzionato, non saremmo qui a lamentarci ogni giorno del malfunzionamento delle pubbliche amministrazioni”. Lo scrive Sabino Cassese in un editoriale sul ‘Corriere della sera’, lanciando una proposta che possa superare l’attuale spoil system.

“Il governo si trova ora dinanzi a un bivio: mettersi sul piano inclinato dell’allargamento del sistema delle spoglie, oppure fare un passo indietro, abbandonarlo, dotare il Paese di una burocrazia stabile, robusta, capace, ben selezionata, imparziale, neutrale e leale rispetto a qualunque forza politica – scrive ancora Cassese – Si tratta di far prevalere la qualità delle persone e non lo spirito di parte; di scegliere non persone fedeli, ma persone capaci. La burocrazia deve essere selezionata secondo criteri oggettivi e non – come viene proposto – in base alla adesione alla ideologia di questo o quel partito. Ma va diretta e deve lasciarsi dirigere dal governo senza frenare o sabotare”.

“Capisco che un governo diretto da chi non è stato al potere nei settantacinque anni di Repubblica si chieda come potrebbe usare il sistema delle spoglie, per poi sopprimerlo – si legge ancora – Questo sarà possibile se si adotta una norma transitoria che consenta di valutare, una volta per tutte, in modo imparziale, la performance, l’idoneità e la neutralità delle persone che oggi ricoprono gli incarichi, confermandole o non rinnovandole, in vista di un meccanismo futuro, a regime, che premi esperienza e capacità e, nello stesso tempo, crei un canale di accesso veloce dei giovani più capaci, ristretto ad un centinaio di uomini e donne che, messi al vertice dell’amministrazione, la facciano funzionare in maniera efficace”.

Cassese chiude con una considerazione significativa. “Così si potrebbe creare un vivaio da cui far emergere una classe dirigente amministrativa. È il più grande regalo che la politica potrebbe oggi fare al Paese”.

Il discorso è quello del cosiddetto spoil system, vale a dire la pratica politica, nata negli Stati Uniti d’America tra il 1820 e il 1865, secondo cui gli alti dirigenti della pubblica amministrazione cambiano con il cambiare del governo.

In particolare, nel caso italiano, con questa espressione ci si riferisce alla possibilità per un governo appena insediato di cambiare alcuni funzionari pubblici, sostituendoli con persone di fiducia o comunque con cui c’è più sintonia dal punto di vista politico.

Lo spoils system in Italia fu introdotto dalla cosiddetta riforma Bassanini, cioè quell’insieme di leggi approvate alla fine degli anni Novanta che modificarono sensibilmente il funzionamento della pubblica amministrazione, ispirate dall’allora ministro della Funzione pubblica Franco Bassanini.

Giorgia Meloni critica il sistema e nella conferenza stampa di fine anno ha detto che servirebbe «una revisione profonda della legge Bassanini», auspicando un sistema che lasci ancora più libertà alla politica nelle nomine dirigenziali, che insomma dia al governo più responsabilità «nel bene e nel male».

In buona sostanza si tratta del difficile rapporto tra politica e pubblica amministrazione. Durante la mia vita professionale mi sono spesso imbattuto in questa devastante conflittualità: disposizioni ministeriali in chiaro ed evidente contrasto con le novità introdotte sul piano legislativo, vale a dire circolari e risoluzioni ministeriali adottate per svuotare di contenuto innovativo delle norme di legge in una sorta di interpretazione in chiave di continuismo burocratico; atteggiamenti di arroccamento difensivo rispetto a qualsiasi modifica normativa che spesso spiazzano ed ostacolano il cittadino utente dei pubblici servizi.

Non è accettabile legare le sorti della dirigenza amministrativa a quelle della classe politica: si verrebbe a creare un via-vai infinito a scapito della competenza e professionalità, si trasformerebbe la pubblica amministrazione in un terreno di pratica clientelare, rischiando di piegare l’applicazione delle leggi agli umori momentanei della mutevole politica.  Nello stesso tempo non è giusto che la casta burocratica tenga in scacco la politica e la diriga dall’esterno, tenendola al guinzaglio, strumentalizzando le proprie competenze e rendendole fini a loro stesse.

Come uscirne? Da una parte con una maggiore competenza ed esperienza della classe politica e dall’altra con una maggiore disponibilità a collaborare ed a rispettare gli indirizzi governativi adottati ai vari livelli istituzionali.

È nato prima l’uovo del corretto e bravo burocrate o la gallina della politica capace di governare? Fra le cause del male burocratico del nostro sistema c’è senza dubbio la debolezza della politica incapace di svolgere il proprio compito e conseguentemente arrendevole ai desiderata della burocrazia. Così come la debolezza politica dipende da scarsa conoscenza delle problematiche amministrative affidate pedissequamente ai burocrati di turno per rifugiarsi stucchevolmente nei massimi sistemi.

Molto tempo fa il ministro della riforma burocratica Massimo Severo Giannini, dopo qualche tentativo andato a vuoto, vista la difficoltà al limite dell’impossibilità di cambiare le cose, diede le dimissioni preannunciando di voler emigrare negli Usa. Giustamente l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini lo rimproverò aspramente. Avevano ragione entrambi?! Il primo si arrendeva di fronte alla forza degli apparati, il secondo strigliava la politica incapace di superare gli apparati.

Forse non è il caso di emigrare, perché alla nostra demenziale burocrazia gli Usa rispondono con la loro demenziale politica: se in Italia le leggi vengono sostanzialmente disattese dalla lenta e parassitaria macchina burocratica, in America la macchina burocratica applica con sollecitudine leggi sbagliate e contraddittorie. Ognuno ha le sue gatte da pelare. Nel nostro Paese, tutto quanto fatto da una pur debole, confusionaria e discutibile classe politica e di governo a tutti i livelli (anche le poche cose buone e tempestive) rischia comunque di infrangersi contro gli scogli burocratici. Anche la riforma regionale ha finito con l’aggiungere ulteriori catafalchi burocratici (la colorita ed eloquente espressione non è mia e non ricordo da chi venga) alla già pesantissima jungla degli uffici pubblici. Se arriviamo ai comuni le cose peggiorano ulteriormente, perché non conta la vicinanza con il cittadino, ma la professionalità, l’esperienza, la competenza che diminuiscono nettamente andando dal centro verso la periferia.

Alla tentazione di vivacchiare e di sopravvivere all’alternarsi delle vicende politiche fa riscontro quella di entrare a gamba tesa nei meandri della pubblica amministrazione. In mezzo c’è il povero cittadino, il vaso di coccio fra quelli di ferro che giocano a scontrarsi. Alla casta burocratica si contrappone quella politica, una guerra fra caste. È la fine ingloriosa della democrazia!