Una miss…ina al governo

Vincendo un fazioso (lo ammetto!) senso di repulsione, ho seguito pressoché integralmente la lunghissima conferenza stampa di fine anno del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ricavandone alcune provocatorie riflessioni.

La prima riguarda la statura politica del personaggio. Ormai va di moda considerarla un leader. Se essere tale vuol dire interpretare i difetti della (sua) gente, Giorgia Meloni è un leader. Mia sorella Lucia, per certi versi più netta di me nei giudizi, direbbe, usando una gustosa espressione dialettale: “niént pighè in t’na cärta” oppure “da lè a niént da sén’na…”. Se vogliamo essere buoni, la carta è di quelle che fanno un certo effetto, mentre la cena è e rimane assai magra. A parte gli scherzi, Giorgia Meloni, sul piano della dialettica politica se la cava, più con la presunzione di essere brava che con l’idea di avere qualcosa da dire.

La contraddittoria pochezza è emersa soprattutto sulle problematiche internazionali: è riuscita a mettere in fila una seria di cavolate impressionanti, dal misconoscimento del trattato del Quirinale con la Francia al rifiuto di un’Europa federale, dalla pedissequa e strumentale accettazione della Nato alla velleitaria contrapposizione tra Usa ed Europa (quell’Europa in cui peraltro non crede…), dal categorico rifiuto del Mes (e se per caso ne avessimo bisogno?) alla diplomazia del “se vuoi la pace prepara, anzi fai, la guerra”. Se l’Europa fosse in un momento di prestigio, ci avrebbe già mandato a quel paese (leggi Ungheria e Polonia), ma in questo momento è in difficoltà e quindi è disposta (o costretta) a sopportare anche gli strafalcioni meloniani.

Sulle incongruenze della manovra economica se l’è cavata buttando il reddito di cittadinanza in tribuna in attesa di una qualche politica del lavoro, giustificando la flat tax come un risarcimento ai lavoratori autonomi di piccolo calibro rispetto ai rischi inerenti la loro attività, ammettendo di aver voluto inviare soltanto alcuni messaggi identitari, di aver voluto piantare alcune bandierine direzionali, di non avere quindi in mente un vero e proprio disegno al di là di un liberismo di facciata che non piace nemmeno a Confindustria.

Interrogata inevitabilmente sui ripiegamenti neofascisti di Fratelli d’Italia ha superato Ignazio La Russa e Isabella Rauti, dando una penosa lettura della storia del Movimento sociale, quale difensore d’ufficio dell’assetto repubblicano e costituzionale a cui convertire i recalcitranti italiani del dopoguerra. I più sostengono che si tratti di problemi superati: acqua passata non macina più. Non sono d’accordo: questa è acqua passata che continua a macinare e l’attuale governo è il mulino ideale.

Se togliamo il discorso sul presidenzialismo tutto il resto si è dispiegato nell’ovvietà: le risposte si conoscevano prima delle domande. Un rassicurante inno alla normalizzazione di una destra di governo, che vuole governare senza scossoni, ma lanciando messaggi identitari (per tutti la guerra ai rave party), dando l’impressione di cambiare, finendo in realtà col salvare l’insalvabile (l’evasione fiscale) e col tradire ogni e qualsiasi sensibilità sociale (tipica fine della destra che finisce sempre per difendere gli interessi dei ricchi).

Alle preoccupazioni di fondo rispetto a questo governo non ha aggiunto e tolto nulla. Credo che Giorgia Meloni abbia la situazione della sua maggioranza sotto perfetto controllo, che l’opposizione non abbia al momento nessuna chance per metterla in qualche crisi, che l’Europa resti a guardare senza intenti bellicosi, che la gente rimanga al palo della recente consultazione elettorale.

Chi potrà creare qualche difficoltà a questo governo? Nessuno al momento! A meno che l’Italia non vada dentro una grave recessione e allora in molti potrebbero svegliarsi dal sonno e cominciare a gridare…Mi auguro che non occorra un bagno di sangue socio-economico per buttare all’aria una situazione che va radicalizzandosi “con” infamia e senza lode.