Le trombe piddine e le campane catto-democratiche

Torno con la mente, a metà degli anni sessanta, sui banchi di scuola. Con un mio compagno di classe, Mario Tanzi, l’amicizia andava oltre il sano cameratismo scolastico per allargarsi al dialogo umano, culturale e politico. Io cattolico e democristiano, lui non cattolico e comunista: di fronte alla realtà incandescente di quegli anni riuscivamo, pur partendo da culture e sensibilità diverse, a trovare un fervido terreno d’incontro, un punto di convergenza in base ai valori che ci ispiravano (la giustizia sociale, l’attenzione alle classi popolari, la laicità della politica, etc.). Ci scambiavamo esperienze, idee, ansie, preoccupazioni, dubbi e certezze. Eravamo in anticipo di dieci anni rispetto al compromesso storico. Ci ritrovammo dopo alcuni anni, impegnati entrambi nel movimento cooperativo, lui quello di matrice socialista, io quello di ispirazione cristiana: il dialogo riprendeva con una immediatezza sorprendente e con affascinante fluidità. Poi arrivammo quasi a lavorare insieme a servizio delle cooperative, prescindendo dagli schemi, che, nel nostro piccolo, eravamo stati capaci di superare coraggiosamente e, oserei dire, pionieristicamente. Quando si costituì il partito democratico andai a quelle esperienze di quarant’anni prima e mi dissi: per me e Tanzi la fusione arrivava in ritardo, meglio tardi che mai!

Cosa è successo dal 2007 ad oggi? Cammin facendo la cultura socialista è diventata la base di sussistenza per una sorta di casta egemonica e la cultura cattolico-democratica in parte si è affievolita, in parte si è omologata ad equilibri politici fatti di pragmatismo e di puro governismo.

I valori che dovevano costituire la carta identitaria di questo nuovo partito sono stati in gran parte dimenticati se non addirittura traditi. Il consenso in caduta libera e l’impeachment morale sono le conseguenze clamorose e drammatiche di questa perdita valoriale. L’elettore lo ha capito mentre l’eletto ha fatto i cavoli suoi.

Il partito democratico ha qualche chance di ripresa? Solo se ritorna alle sue origini, vale a dire a quelle due culture fondamentali ed alla loro combinazione virtuosa. Se si illude di vivacchiare alla meno peggio o se ritiene di mutare il quadro valoriale per trasformarsi in un partito di sinistra tout court, magari sempre più mirato ai pur sacrosanti diritti civili, ma sempre più lontano dalla “fraternità” di bergogliana connotazione, rischia grosso avendo davanti un futuro assai incerto, poco credibile e ancor meno coinvolgente.

I depositari della tradizione cattolico-democratica si sono finalmente svegliati e stanno lanciando una seria e drammatica provocazione al congresso in atto nel PD: o si ritrova il filo della matassa o si va ad una divaricazione insanabile, che non sarebbe il solito frutto bacato del frazionismo della sinistra, ma la conseguenza della perniciosa sottovalutazione del contributo che alla politica hanno dato e possono dare i cattolici democratici progressisti.

Come sintetizza Il Fatto quotidiano.it, in un recentissimo ed interessantissimo convegno di carattere politico-culturale, il sasso nella piccionaia piddina è stato lanciato da una delle componenti fondative del 2007, quella degli eredi della sinistra democristiana che – insieme a chi rappresenta la tradizione ex comunista – sognavano di creare il soggetto unico di centrosinistra, e autosufficiente. E invece ora che il Pd mette mano alla sua Carta dei Valori, gli ex popolari sono con un piede sulla soglia di casa, con in mano la valigia. A guidare la protesta è Pierluigi Castagnetti, l’ultimo segretario del Ppi e presidente dell’associazione “I Popolari”, il soggetto giuridico erede del partito fondato nel 1919 da don Luigi Sturzo e resuscitato dopo il collasso della Dc per effetto di Tangentopoli e la nascita del bipolarismo. Castagnetti ha aperto il convegno sulla “utilità” dei “Cattolici Democratici nella politica di oggi” con questo ragionamento: se il Pd con la riscrittura della Carta dei valori “cambiasse natura“, abbandonando quella di “partito in cui si incontrano e si ascoltano culture politiche diverse”, allora gli ex popolari “ne trarrebbero le conseguenze”. 

È inutile sottolineare come io sia personalmente molto interessato al discorso in quanto “reduce” da un impegno politico basato proprio sui valori del cattolicesimo democratico. Nella mia vita ho cercato infatti di esprimere l’anelito alla vera politica, aderendo all’azione della sinistra cattolica all’interno della D. C., in un impegno nel territorio, nelle sezioni di partito, nel consiglio di quartiere, laddove il dialogo col PCI si faceva sui bisogni della gente, delle persone, laddove si condividevano modeste ma significative responsabilità di governo locale, laddove la discussione, partendo dalle grandi idealità, si calava a contatto con il popolo. Quante serate impiegate a redigere documenti comuni sulle problematiche vive (l’emarginazione, la scuola elementare, l’inquinamento, la viabilità), in un clima costruttivo (ci si credeva veramente), in un rapporto di reciproca fiducia (ci si guardava in faccia prescindendo dalle tessere di partito). Mi sia permessa una caustica riflessione: forse costruivamo dal basso, senza saperlo, il vero partito democratico, molto più di quanto abbiano fatto i leader dal 2007 in avanti e soprattutto molto più di quanto stiano facendo alcuni fra quelli attuali, che rischiano di buttare a mare anche la nostra storia, confondendo ancora una volta i valori con le proprie incallite posizioni.

Ho avuto l’onore di essere allora presidente del quartiere Molinetto (io democristiano sostenuto anche dai comunisti) in un’esperienza positiva, indimenticabile, autenticamente democratica. Ricordo con grande commozione il carissimo amico Walter Torelli, scomparso da diversi anni, comunista convinto, col quale collaborai in un rapporto esemplare, sfociato in un’amicizia, che partiva dall’istituzione (quartiere) per proseguire nel dibattito fra i partiti, per arrivare alla condivisione culturale ed ideale di obiettivi al servizio della gente.

Mi sento in dovere di ripensare con gratitudine a quando Torelli, a nome del Pci, mi dichiarò la sua totale disponibilità ad appoggiare la mia candidatura a presidente di quartiere: la cosa mi riempì di orgoglio e soddisfazione. Riuscimmo infatti a collaborare in modo molto costruttivo. Tutta la mia militanza politica e partitica è stata caratterizzata da questa convinta e costante ricerca del dialogo, a volte tutt’altro che facile, a volte aspro e serrato, ma sempre partendo dai valori del cattolicesimo democratico, al servizio della popolazione in nome dei valori condivisi.

Non so se ero più di sinistra io o i miei interlocutori comunisti: ero definito un cattocomunista, un comunistello di sagrestia. Non ero e non sono mai stato un comunista, ero e sono legato a certi valori e il vederli messi in crisi da politiche sbagliate, da derive immorali, da confuse e velleitarie riformulazioni identitarie mi fa soffrire e mi allontana dalla politica. Spero che il colpo di reni catto-democratico dia una scossa benefica, tale da consentirmi almeno di tornare alle urne quando verrà il momento.