Briciole di cittadinanza

Dodici ore al giorno per 700 euro: “È indegno, così tengo il Reddito”. Padre di due ragazze disabili a Scampia è pronto a rinunciare al sussidio. «Voglio lavorare, non essere assistito. Ma trovo solo opportunità fuori dalle regole» (La Stampa).

Siamo perfettamente d’accordo che l’assistenzialismo è di per sé una sconfitta della politica: se c’è bisogno di intervenire a sostegno di persone che non riescono a vivere dignitosamente all’interno dei meccanismi socio-economici del sistema vuol dire che la politica non riesce ad intervenire sul sistema stesso per renderlo equo o almeno compatibile con i diritti basilari dei cittadini.

Il cosiddetto reddito di cittadinanza rientra nella categoria degli interventi assistenziali e dovrebbe consentire di sopravvivere a quanti non riescono ad esercitare un diritto fondamentale, quello al lavoro.  L’art. 4 della Costituzione recita: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Si tratta di un diritto/dovere.

Perché quindi il reddito di cittadinanza? Perché nella nostra società non esistono per tutti i presupposti per godere di un diritto e sarebbe oltre modo assurdo criminalizzare chi si trova in questa incresciosa situazione addossandogli comunque il dovere di lavorare a qualsiasi condizione, anche la più ingiusta e offensiva. Sta passando l’opinione secondo la quale la concessione del reddito di cittadinanza sia un incentivo alla pigrizia ed al parassitismo. Stiamo capovolgendo i fondamenti del vivere civile: non trovare un lavoro accettabile sta diventando una colpa.

Lo Stato scarica sul cittadino le proprie manchevolezze: non sono io che non ti consento di lavorare in modo dignitoso, sei tu che non hai voglia di lavorare perché ti rifiuti di accettare un lavoro purchessia magari a condizioni di sfruttamento. È più demagogico insistere su questo strumento assistenziale o depennarlo di fatto insinuando che il lavoro c’è, basta cercarlo e accettarlo a scatola chiusa.

Ogni aiuto offerto al cittadino trova purtroppo chi ne approfitta: è un discorso vecchio come il cucco. L’esistenza di pochi approfittatori non giustifica però l’inerzia dei pubblici poteri di fronte allo stato di assoluta necessità di tanti cittadini.

L’attuale governo sta affrontando il problema all’interno di due presupposti inaccettabili: quello appena citato della generalizzazione degli eventuali abusi e quello del dovere di accettare un lavoro qualsiasi che verrebbe prima del diritto ad un lavoro accettabile in quanto rispondente alle regole dell’equità e del buon senso.

Così facendo si sta scoperchiando una pentola in cui bolle il lavoro border line, a salari da fame, a condizioni di sfruttamento, a modalità pericolose, fuori dalle regole sindacali e di legge. Se pretendiamo che i beneficiari del reddito di cittadinanza si tuffino in questa pentola sbagliamo due volte: pretendiamo l’impossibile dai “poveri” e giustifichiamo il vergognoso comportamento dei “ricchi”.

La normativa sul reddito di cittadinanza si può quindi migliorare solo ed esclusivamente in parallelo con una seria politica del lavoro. Diversamente rischiamo, per dirla col Vangelo, di togliere ai cagnolini persino la possibilità di cibarsi delle briciole che cadono dalla tavola dei padroni. Già l’assistenzialismo è una forzatura che li considera cagnolini, togliere loro le briciole è il massimo dell’ingiustizia da parte di una società che non vuole nemmeno dare una mano a chi non ce la fa.