I dialettanti della politica

Inserire il dialetto veneto tra le lingue delle minoranze tutelate dall’articolo 6. Questa l’ultima battaglia della Lega, che si allaccia a quella aperta sull’Autonomia differenziata. Il Carroccio ha infatti presentato alla Camera un disegno di legge per poter insegnare le lingue regionali nelle scuole “di ogni ordine e grado con una particolare attenzione alla scuola materna”.

L’iniziativa parlamentare, a prima firma di Massimo Bitonci, sottosegretario al ministero dello sviluppo Economico, e presentata insieme ad altri 17 deputati leghisti, vuole quindi aggiungere il veneto tra le lingue minoritarie prevedendone l’obbligatorietà dell’insegnamento. Se la riforma andasse a buon fine, servirebbe però un ulteriore passo. La Regione guidata da Luca Zaia dovrebbe infatti siglare un protocollo d’intesa con il ministero dell’Istruzione per definire i criteri generali. 

La norma punta a diffondere il dialetto anche tramite i media. Il disegno di legge coinvolge anche i media del territorio: un articolo infatti prevede che la Regione possa ratificare “accordi con la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo e con le emittenti radiotelevisive locali, anche a tal fine appositamente costituite, per la promozione di trasmissioni giornalistiche e di programmi generali in lingua minoritaria”.

Anche in Piemonte si discute di una proposta di Legge simile, a firma del consigliere regionale leghista Andrea Cane. Il provvedimento vorrebbe salvaguardare il patrimonio linguistico e dialettale regionale, “in quanto elemento qualificante dell’identità piemontese”, prevedendo che il dialetto venga utilizzato anche nella cartellonistica, nella segnaletica turistica e per i segnali stradali e introducendo a scuola un’ora facoltativa di piemontese. (Sky TG24)

L’iniziativa leghista dimostra ulteriormente come questo partito sia alla disperata ricerca di una riscossa dopo la batosta elettorale del 25 settembre scorso. Le sta provando tutte, dai migranti ai pensionandi, dai regionalisti ai “dialettisti”. Tutto fa brodo.

Sul supplemento di autonomia alle regioni dissento categoricamente: visto come stanno esercitando gli attuali poteri, dargliene di altri sarebbe un salto nel buio. Fosse per me gliene toglierei. La riforma regionalista, checché se ne dica, è stato poco più di un flop: a burocrazia consolidata ed esperta si è aggiunta burocrazia improvvisata e incapace (provare per credere); agli egoismi corporativi si sono aggiunti quelli territoriale; sulla dicotomia nord-sud si è spalmato un po’ di trucco regionale; ai gruppi di potere centrali stanno facendo da contraltare quelli periferici.

Vorrei solo aggiungere due parole sul discorso del dialetto che, in un certo senso, si inquadra nell’ipotesi della cosiddetta “autonomia differenziata” a livello regionale. Poco più di un maldestro tentativo di rispolverare l’identitario indipendentismo bossiano coniugandolo col sovranismo salviniano: una trappola in cui cadranno probabilmente i palloni gonfiati regionalisti di destra e sinistra.

Stando al vernacolo, dico subito che in casa mia, nel mio quartiere, nella società in cui sono cresciuto si parlava abitualmente il dialetto: nessuno me lo ha mai proibito in base alla sciocchezza che l’uso del dialetto potesse pregiudicare il corretto apprendimento della lingua italiana. A mio giudizio è vero il contrario!

Come diceva Pier Paolo Pasolini, il dialetto vale nella misura in cui riesce ad esprimere la cultura del popolo che lo parla. I dialetti raccontano altre epoche, che tuttavia hanno molte cose da insegnarci. Sono un tuffo rigenerante nel passato: inutile però illudersi di tornare indietro, meglio coglierne i messaggi per tradurne la “valorialità” nella società odierna. Il dialetto è e deve rimanere qualcosa di fresco e spontaneo e quindi non serve indulgere a moralistiche nostalgie: coglie con profonda e spontanea simpatia personaggi reali di un mondo reale, con i loro pregi e difetti senza scadere nel vignettismo calato dall’alto.

Il dialetto deve rimanere nella logica del bicchiere di carta: non si può pretendere di spacciare il dialetto per un bicchiere di cristallo (Pasolini docet). Come diceva un mio grande insegnante, in viaggio, allo stadio, per strada, non si può bere che con un bicchiere di carta…così come non si può dimostrare il teorema di Pitagora usando espressioni dialettali.

Le demagogiche e velleitarie iniziative legislative, veneta e piemontese, rischiano di cedere alla snobistica tentazione dell’accademia dialettale o, ancor peggio, all’impossibile tentativo di risuscitare un modo di vivere, staccato dalla realtà odierna. Il dialetto non si può insegnare a scuola, così come non si può insegnare a vivere. Il dialetto si parla nella misura in cui è vita vissuta e non raccontata.