Bandierine e cotillons

Parto dal criterio sbrigativo suggerito dal grande giornalista Indro Montanelli per giudicare le persone: “guardategli la faccia…”. Mia sorella era grande ammiratrice di Indro Montanelli, non per le sue idee politiche, ma per il suo approccio ai fatti e soprattutto alle persone. Quindi, quando apparve in prima battuta sulla scena fiorentina Matteo Renzi con tutto il suo profluvio di ambiziose e bellicose mire, andò a prestito dal suddetto criterio montanelliano. E infatti mia sorella d’acchito sentenziò riguardo a Renzi: «Che facia da stuppid!». Non ebbe purtroppo tempo di vederne la scalata ai massimi livelli del partito e del governo nonché tutta la sua successiva azione politica e quindi non sono in grado di sapere cosa ne avrebbe pensato in seguito e cosa ne penserebbe oggi.

Più ascolto Matteo Renzi nelle sue fastidiose ed egocentriche smargiassate e più devo ammettere che mia sorella aveva ragione da vendere. Nella sua recente uscita a “L’aria che tira” su La7, ha inanellato una serie di brillanti (?) cazzate, tali da farmi sentire in colpa per avergli concesso, parecchio tempo fa, qualche esagerata attenzione.

Ma come si permette questo signore di insolentire Massino D’Alema, di cui ha tutti i difetti e nessun pregio: D’Alema, secondo Renzi, avrebbe l’obiettivo di distruggere il Partito Democratico. Può essere anche vero, ma ricordiamoci che “la prima gallina che canta ha fatto l’uovo”. Renzi pensi a fare il centro, se ne è capace, possibilmente non continuando a raccogliere gli scartini berlusconiani. Credo si sia reso conto della propria inconcludenza ed infatti sembra lasciar fare a Carlo Calenda, salvo scaricarlo non appena dovesse raggiungere qualche buon risultato. Della serie “va’ avanti ti c’am scapa da rìddor”. Vuole fare il padre nobile e, se va avanti così finirà col fare il padre ignobile del suo partitino, costruito intorno a se stesso e pochi carissimi amici, che gli danno sempre ragione. Con Massimo D’Alema ha un conto aperto: a suo tempo, nel 2014, lo avrebbe potuto proporre come Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ma gli preferì Federica Mogherini che aveva il pregio di far parte o di poter far parte del suo cerchio magico (da lè a niént da sén’na…). In quell’occasione dimostrò di non vedere oltre ad un palmo dal proprio naso: non fece l’interesse dell’Italia che avrebbe avuto un importantissimo punto di riferimento a livello europeo e non seppe fare nemmeno il suo interesse personale accontentando e allontanando un agguerritissimo e furbissimo avversario di partito. Preferì rottamarlo, a quale scopo lo sa solo lui…

Ma come si permette questo signore di insolentire Enrico Letta arrivando a definirlo un buon giocatore di subbuteo: altra sua illustre vittima sbrigativamente sacrificata per approdare al governo in cui peraltro finì lui pure vittima del proprio egocentrismo, scommettendo tutto su se stesso e perdendo tutto malamente alla roulette delle riforme costituzionali. Anche lui sta politicamente giocando a calcio balilla: infatti, tra un ammiccamento segreto e uno palese, sta rischiando di fare il balilla di Giorgia Meloni.

Sia ben chiaro che non ho mai avuto un particolare trasporto verso Masimo D’Alema anche se lo considero un politico molto intelligente, lucido, brillante e di gran classe, come ha dimostrato anche nel recente intervento a “In onda” su La7,  in cui ha snocciolato concetti importanti sul passato, sul presente e per il futuro, sfatando alcuni luoghi comuni, come l’errata teorizzazione dei partiti senza ideologia (leggasi valori) alla spasmodica ricerca di identità (leggasi specchietti per le allodole elettorali), come la rottamazione dei partiti novecenteschi salvo votare abbondantemente per l’unico vero partito novecentesco rimasto in lizza (leggasi Fratelli d’Italia), come accusare i grillini di tenere equivoche posizioni e provocarli da sinistra salvo poi abbandonarli proprio quando cominciavano a parlare progressista.

Così come giudico molto severamente Enrico Letta nel suo conclamato deficit strategico, ma retrocederlo ad infantile politico da bar parrochiale mi sembra una cattiveria che alla fine si ritorce contro Renzi e la sua insopportabile arroganza. Badi piuttosto lui ad elaborare e presentare uno straccio di strategia che vada al di là di Maria Elena Boschi alla presidenza del Copasir in cambio di una ventilato bastone della gioventù per Giorgia Meloni.

Mentre il governo mette sul campo qualche assurda bandierina identitaria – la norma anti-rave, l’anticipo del perdono agli operatori sanitari no-vax, l’uso del contante e roba del genere – Massimo D’Alema pontifica (almeno lui lo sa fare!),  Enrico Letta non sa che pesci piglare (troppo coerente e lineare per elaborare il lutto) e Matteo Renzi gioca a fare il pesce in barile per scompilgliare qualche carta al centro, sostituendosi alla bisogna ai più refrattari berlusconiani (evviva il terzo polo!).  E Carlo Calenda finisce col reggere il moccolo a Matteo Renzi. Più vado avanti e più mi accorgo di avere scelto giusto nell’astenermi nella recente consultazione elettorale.