Un sinistro spaventapasseri nel campo meloniano

Nelle aule parlamentari il voto segreto dovrebbe essere garanzia di coscienziosa indipendenza ma non di faccendiera intromissione. I senatori appartenenti all’area politica di centro-sinistra (probabilmente circa una ventina), che hanno votato quale presidente del Senato un rappresentante della destra estrema, vale a dire Ignazio La Russa – personaggio che non ha certo i requisiti per essere credibile come uomo al di sopra delle parti e quindi adatto al ruolo istituzionale che gli compete a prescindere dall’appartenenza partitica –, dovrebbero avere il coraggio o almeno il buongusto di spiegare agli elettori, che li hanno mandati in Parlamento, i motivi in base ai quali hanno deciso di dare la loro fiducia a questo candidato nonostante l’indicazione contraria delle forze politiche a cui appartengono. È pur vero che, costituzionalmente parlando, non esiste vincolo di mandato, ma ciò non può significare che il parlamentare eletto vada per la tangente rispetto alla linea politica su cui ha ottenuto il voto popolare. Occorrerebbe comunque una spiegazione chiara e plausibile.

Fatta questa doverosa premessa, dirò che di fronte a questo fatto di subdolo trasformismo parlamentare, oltre tutto accaduto in concomitanza con l’inaugurazione della legislatura, non mi sono affatto scandalizzato, ma, accantonando ogni e qualsiasi spontanea reazione negativa, ho tentato accuratamente di cercare quali possano essere i motivi di un simile comportamento apparentemente ingiustificato.

Non ho volutamente preso in considerazione l’ipotesi del voto di scambio, vale a dire che i senatori di centro-sinistra abbiano dato una manina interessata alla destra per ottenere in cambio, a livello personale o di gruppo, qualche favore immediato o futuro. Non voglio infatti squalificare in partenza la vita parlamentare su cui è istituzionalmente fondata la nostra democrazia repubblicana.

E allora? Una prima ipotesi, oserei dire ridicola, potrebbe riguardare una fiducia affascinata verso un politico dell’altra sponda che dia comunque garanzie di rappresentatività globale, di fedeltà costituzionale, di condivisione dei principi basilari su cui è fondata la nostra repubblica, di obiettività e lealtà verso tutti i colleghi. Non mi sembra infatti che Ignazio La Russa possa dare queste garanzie, affondato com’è in un equivoco passato, protagonista com’è stato di vicende faziose e divisive, uomo di parte ante-litteram, candidato a questo ruolo proprio per segnare un’affermazione partitica ben precisa e imprescindibile. Non credo che anche il più ingenuo e novizio dei senatori possa essere caduto in questa trappola.

Proviamo quindi a valutare qualche altra ipotesi. Ci potrebbe essere la volontà di sparigliare i giochi politici a danno di una maggioranza uscita vincitrice dalle urne, ma piena di contraddizioni di carattere valoriale, programmatico, personale e finanche psicologico: dimostrare cioè fin dall’inizio la debolezza di una coalizione elettorale, che va in grave difficoltà alla prima prova di aula parlamentare. Per ottenere questo pur legittimo risultato bastava lasciare incompiuta la votazione e semmai provare a contrapporre al candidato di destra un candidato che potesse avere le caratteristiche insite nel ruolo istituzionale della seconda carica dello Stato, al fine di mettere in imbarazzo i partiti del centro-destra e far emergere le perplessità più serie che serpeggiavano in quell’area.

È indiscutibile che la difficoltà per l’elezione di La Russa provenisse dalla componente di Forza Italia, soprattutto dal suo frusto leader alla ricerca di rilegittimazione e di visibilità. Lo avevano capito tutti al di là dei successivi imbarazzanti pizzini esibiti in bella mostra, che segnano una forte disistima di Berlusconi nei confronti di Giorgia Meloni e della sua ritrosia a piegarsi ai desiderata di un padre assai poco nobile del centro destra.  Forse si è voluto lanciare un messaggio del tipo “siamo qui, siamo pronti a sostituire i capricciosi berlusconiani, siamo disposti a fare da stampella provvisoria al centro-destra in attesa di sviluppi ulteriori della situazione”. Posso anche essere d’accordo sullo spazzare via definitivamente la trentennale pietra d’inciampo berlusconiana, ma se il prezzo è buttarsi nelle braccia di una destra che più destra non si può, mi pare che il gioco non valga la candela o per lo meno che con questa candela ci si possano scottare le dita. In effetti Berlusconi è uscito malconcio da questa prima prova di forza, ma da qui a ritenerlo politicamente irrilevante o addirittura spacciato… Dare una mano a Giorgia Meloni per far fuori Silvio Berlusconi mi pare assomigli molto al noto sacrificio di evirazione maritale per far dispetto alla moglie.

Forse l’azzardata mossa dei franchi tiratori voleva essere l’inizio di un’azione politica volta a riscoprire ed occupare quel famigerato centro moderato in continua ricerca d’autore e di protagonista. Davanti ad una destra così reazionaria mi sembra però che l’unica cosa seria da fare sia non tanto giocare al centrismo, ma semmai puntare ad un riformismo moderno, plurale e credibile. A meno che dietro al voto sui generis in favore di La Russa non si nasconda un disegno ben più ampio e ambizioso, quello di una riforma costituzionale presidenzialista accompagnata da una riforma elettorale, entrambe alla francese: un centro moderno alla Macron tutto da costruire previo sbaraccamento di Forza Italia e cespuglietti vari nonché previa divisione del partito democratico, una destra alla Le Pen (c’è già bella e pronta), una sinistra radicaleggiante alla Melenchon, che metta insieme il M5S e la parte più intransigente del PD. In tal caso si potrebbe dire che Parigi val bene un La Russa a palazzo Madama. Lasciare cioè sfogare gli intenti identitari di Meloni e Salvini, che hanno bisogno di battere un colpo post-elettorale, per poi trattare ad un certo livello sui massimi sistemi.

Se poi la segreta avance dei senatori, in vena di tirare un sasso in piccionaia salvo nascondere la mano, voleva essere un monito alla destra a cucinare un governo adeguato alla grave situazione interna ed internazionale, meglio lasciare che ci pensi il presidente Mattarella, il quale ne ha la competenza, l’esperienza e l’autorevolezza. Forse si è voluto dire che qualora il governo fosse una cosa seria si potrebbe anche vedere una qualche disponibilità a collaborare almeno nelle aule parlamentari e ad offrire qualche copertura a livello europeo (a questo però sta già pensando Mario Draghi!). Roba scontata quindi che non aveva e non ha certo bisogno di messaggi subliminali o di pseudo-ricatti politici. Anche se potrebbe trattarsi di un ulteriore contentino alla destra per spingerla, smaltita la sbornia identitaria culminante in La Russa e Fontana agli alti scranni, sul difficile terreno delle riforme di largo respiro tendenti ad un sistema alla francese di cui sopra.

La mia fantasia ha raggiunto il limite e confesso di non avere trovato una spiegazione realistica o comunque plausibile. Resterà probabilmente un fatto da ricordare ai futuri nipotini davanti al caminetto. Temo che questa oscura vicenda possa rivelarsi un boomerang e che la sinistra ottenga solo il risultato di avere fatto da spaventapasseri nel campo altrui e svolto il ruolo dell’utile idiota a vantaggio di una destra che trova sempre il modo di ricompattarsi. Della serie “la destra è capace di tutto, mentre la sinistra non è capace di niente…”.