Lo snobismo dell’anti-antifascismo

Noto che il sottoporre il governo Meloni alla prova finestra del fascismo venga considerato e giudicato come un esercizio ozioso, fuorviante e stucchevole anche da certa intellighenzia riconducibile alla sinistra. Ozioso perché il fascismo non esisterebbe più; fuorviante perché farebbe perdere tempo alla sinistra incollandola ad un passato ideologico superato e spianerebbe la strada alla destra più pragmatica e à la page; stucchevole perché inutilmente volto a rincorrere il consenso con la testa all’indietro trascurando la soluzione ai problemi del presente.

Mi stupisce che persino un intellettuale del calibro di Massimo Cacciari si attesti su queste posizioni nell’incrocio pericoloso fra “snobismo”, vale a dire la raffinata e sprezzante ostentazione culturale, “benaltrismo”, vale a dire la testarda ricerca di un diversivo culturale a tutti i costi, e “disfattismo”, vale a dire “è tutto sbagliato, è tutto da rifare” di bartaliana memoria.

Attualmente il pericolo fascista non si manifesta con le squadracce, i manganelli, l’olio di ricino e robaccia del genere, ma nella risorgente cultura dell’egoismo individuale (leggi flat tax), sociale (leggi lotta al clandestino) e statuale (leggi sovranismo). Sono i riferimenti fondamentali della campagna elettorale della destra, che rischiano di essere i capisaldi dell’azione di governo.

Tutta colpa della insipienza e inconcludenza della sinistra? Anche questo mi sembra un atteggiamento sbrigativo pur nella doverosa autocritica della sinistra. Continuo a riferirmi al professor Cacciari, che pretendeva da Enrico Letta, in sede di dichiarazione di voto sulla fiducia al governo Meloni, una spietata analisi sugli errori e i mali della sinistra la quale con le sue anacronistiche disquisizioni spiana la strada alla destra, confondendo il dibattito parlamentare con il congresso del partito democratico. Sarebbe come rinunciare a respingere il ladro perché a suo tempo non si è installato l’antifurto.

Il fascismo, così mi ha insegnato mio padre, prima di essere un regime politico è un fenomeno culturale, una proposta di controvalori, un modo sbagliato di concepire l’individuo e la società. L’antifascismo e la Resistenza sono la base della nostra Costituzione in termini di principi fondamentali dai quali non si può prescindere. Ecco perché le conversioni frettolose non possono legittimare chi non ha condiviso il percorso culturale e politico dell’antifascismo e chi, di conseguenza, fatica a riconoscersi nella Carta Costituzionale.

È una caccia alle streghe? No, è una rigorosa difesa della memoria storica, che si fa attualità politica e prospettiva democratica. Per rendere didatticamente a me bambino l’idea di cosa fosse il fascismo, mio padre non andava sui massimi sistemi e mi spiegava: “Bastava trovarsi a passare in un borgo, dove era stata frettolosamente apposta sul muro una scritta contro il regime, per essere costretti, da un gruppo di camicie nere, a ripulirla con il proprio soprabito (non c’era verso di spiegare la propria estraneità al fatto, la prepotenza voleva così)”. Aggiungo: i graffitari di oggi sarebbero ben serviti, ma se, per tenere puliti i muri, qualcuno fosse mai disposto a cose simili, diventerei graffitaro anch’io. Spero di avere reso l’idea!