Non voto e non mi sento in colpa

Ho vissuto un vero e proprio “dramma” elettorale. Qualcuno osserva come io abbia la politica nel sangue: penso sia vero. Una malattia o una sfida? In ogni caso ho sofferto e mi sono sentito assai titubante di fronte alla scadenza elettorale. Ho cercato di distrarmi, ma poi mi sentivo in colpa. Mi sono sforzato di ammettere che la politica è importante, ma ci sono anche altre cose: la fede, l’amore, l’amicizia, la famiglia, il lavoro, la musica, etc. etc. Il pensiero tornava però lì e vedevo la politica ridotta ad un cumulo di macerie.

Come ho già scritto, ci sono due approcci alle urne: uno di carattere “ideologico” o quanto meno “ideale” e uno di carattere politico o quanto meno “partitico”. Questo rappresenta già di per sé un’anomalia, se non addirittura la fine della politica vera, che dovrebbe riuscire a coniugare le idee e i valori con la realtà ed i suoi problemi. Invece da una parte c’è l’emarginazione degli idealisti ridotti a stucchevoli sognatori, dall’altra parte la premiata forneria Meloni che arruola tutti coloro che non pensano, ma alzano le spalle.

Un posto centrale nella riflessione pre-elettorale lo avrebbe dovuto avere indiscutibilmente la guerra, la madre di tutti i problemi. La politica ce la presenta come una necessità, come un male necessario, come un assoluto dovere di solidarietà verso l’Ucraina e di condanna verso la Russia. Non accetto questo schema manicheo, non mi rassegno, credo che ci debba essere spazio per cessare l’escalation delle armi e per trattare, dialogare, avviare almeno una tregua per poi costruire un nuovo assetto pacifico a livello internazionale.

La politica non è in grado di mettere minimamente in discussione la logica di guerra, che sottende a tutti i rapporti internazionali: in un certo senso la crisi ucraina è solo l’attuale punta dell’iceberg bellico, che ci coinvolge e ci distrugge. Se applichiamo il paradigma della pace alla scelta elettorale, non ci saltiamo fuori: sul discorso guerra tutti i gatti sono bigi, i partiti sono tutti uguali salvo qualche strumentale distinguo (vedi M5S) o qualche timida puntata critica (vedi Si e Verdi). L’unica formazione politica che affronta con un certo coraggio la questione è Unione popolare-De Magistris, che però non riesce a inserire la scelta pacifista in un contesto politico, ma resta aggrappata alle idee rischiando di ricadere nell’ideologia.

Sarebbe quindi stato necessario prescindere dalla guerra pur di andare a votare, ripiegando magari sulla necessità di fermare la valanga di destra, che rischia di travolgere il Paese e la sua debole democrazia. Poteva essere uno stimolo? Prendere almeno le distanze, mettere un freno ad una sorta di neo-fascismo dilagante, salvare il salvabile, alzare una barriera contro la “barbarie” populista, sovranista e nazionalista. Ma è convincente scoprirsi antifascisti dopo essersi comportati più o meno da fascisti? E poi a tale riguardo non basterà solo uno striminzito voto, ma occorrerà ben altro, come ha lasciato intendere il governatore della Puglia Michele Emiliano, che è finito nella bufera politica dopo le parole pronunciate ad un comizio. Le sue frasi non sono piaciute per nulla all’intero centrodestra ma anche al terzo polo. Il governatore della Puglia si era espresso così: “La Puglia è la Stalingrado d’Italia, qualunque cosa accada da qui non passeranno, gli faremo sputare sangue”. A me queste parole sono piaciute: ci dobbiamo preparare a tempi duri in tema di democrazia.

Il gioco vale la candela? Ha senso usare l’approccio elettorale squisitamente politico? Votare per evitare il peggio, sfidando una sorta di buio pesto da cui si rischia di non uscire vivi: emergono infatti tutti i limiti, i difetti, le contraddizioni di una classe politica a dir poco inadeguata. Non è forse meglio astenersi dal voto in base ad una umile e rispettabile obiezione di coscienza (della serie “non mi sento proprio di votare”)?

Ho fatto molta fatica a decidere se votare oppure no ed eventualmente chi votare. Ho avuto paura di essere complice dell’avanzata di una destra che mette più di qualche brivido. Ho avuto timore di premiare l’omertosa e grilloparlantesca linea politica del PD. Ho nutrito persino qualche attenzione per il M5S e posso capire chi lo avrà votato in chiave sinistrorsa: io però non me la sono sentita. Più ho riflettuto e più sono stato assalito dai dubbi. Le passerelle di Mario Draghi non mi hanno convinto. L’estrema sinistra è politicamente fuori gioco. Gli appelli di Usa e Ue arrivano da pulpiti assai poco credibili. Incombe sempre più la guerra e credo sia l’argomento fondamentale su cui andava incardinato il voto.

L’iter culturale seguito in scienza e coscienza mi sarà almeno testimone che non sono un “qualunquista”. In questa mia sofferta indecisione ho messo tutta la mia esperienza, la mia sensibilità, la mia educazione, la mia storia, il mio cuore che ha sempre battuto per gli ideali di giustizia e pace, il mio cervello che ha sempre guardato alla politica vera.

Ho fatto un’ultima ricognizione e mi sono chiesto: in questo penoso contesto io dovrei andare a votare? Ma fatemi il piacere… L’unica cosa da fare è pregare Dio, non tanto e non solo perché ci illumini, ma che ci liberi dalla sciagura. Se questo è qualunquismo, sono qualunquista. Se questo è integralismo religioso, sono integralista. Se questo è disfattismo, sono disfattista.

A regola di briscola, in questo momento dello squallido borsino elettorale, ho persino avuto la tentazione di affacciarmi sulla furba campagna elettorale di Giuseppe Conte e del suo movimento pentastellato di risulta (è tutto dire…) e sugli argomenti da essi proposti: sulla guerra (ha un pensiero critico), sul governo Draghi (cosa ha fatto e sta facendo, al di là del suo prestigio?), sui problemi sociali (reddito di cittadinanza e altro), sui vaccini (no all’inutile e scorretto obbligo), sul considerare il PD lontano mille miglia dalla sua mission storica ed ideale. Poi però ho pensato a Grillo, ai casini combinati dai grillini, alle contraddittorie e strumentali posizioni assunte nel tempo, alla loro inesistente classe dirigente, all’irritante incedere di un leader di cartone e ho lasciato perdere…

Potevo orientarmi su Unione popolare, tanto per votare e testimoniare una mia ancestrale preferenza per certe idealità. Ma con i capelli bianchi che mi ritrovo non posso farmi ringiovanire da Luigi De Magistris. Se proprio devo testimoniare qualcosa che ho dentro, meglio farlo in altro modo: il più forte voto di protesta e finanche di proposta in questo momento è l’astensione! E mi sono astenuto.

Stretta la foglia, larga la via, dite e fate la vostra che ho detto e fatto la mia!