Mediocrità dell’impossibile

La politica è stata definita da Otto von Bismarck ed è tuttora definibile come l’arte del possibile: non scienza ma arte, vale a dire non freddo calcolo sulla realtà, ma fantasia applicata al cambiamento della realtà. Possibile in quanto basata sul compromesso, seppure collocato ai livelli più alti dei valori e delle idealità.

Resto scettico di fronte al ministro della salute Roberto Speranza, che si trincera dietro due principi astratti posti contraddittoriamente a fondamento della politica in campo sanitario: la difesa della vita della persona e il riferimento assoluto alla scienza. Il primo deve essere calato nella realtà non per sminuirne la sacrosanta carica ideale, ma per trovare il “possibile”, che certamente non è la rinuncia alla sanità pubblica per affidarsi a quella privata, ma nemmeno il riempirsi la bocca di sani principi per poi non essere capaci di finanziare, potenziare, razionalizzare e gestire adeguatamente le strutture e il personale sanitario. Il secondo principio tende a spostare la politica dall’area della fantasia creativa a quella dell’adesione fideistica verso la determinazione scientifica: il governo affidato agli scienziati.

L’emergenza pandemica è stata affrontata e (non) gestita proprio così: con strutture e personale inadeguati per carenze storiche e scelte sbagliate del passato, ma senza correre minimamente ai ripari, affidandosi alla retorica dell’eroismo sanitario più che all’interventismo immediato e concreto; con assoluto e univoco affidamento alla vaccinazione con relativa criminalizzazione di chi ha osata metterla in discussione, nascondendo e coprendo con essa le carenze di tutto il sistema.  La politica ha rinunciato al suo compito di scegliere a favore delle persone, rimettendosi ai peraltro confusi e contraddittori dettati della scienza. Questa, caro ministro e politico di sinistra, non è sinistra. Non basta esorcizzare la sanità privata, occorre potenziare e far funzionare quella pubblica. Non basta rispettare gli indirizzi degli scienziati, occorre calarli in un contesto di scelte umanamente concrete e politicamente eque e rispettose dei diritti.

Se vogliamo allargare il discorso dalla sanità a tutta la società ci troviamo in presenza di due inconfessabili autoconvinzioni: da una parte la destra che conta di “vincere” le elezioni ben sapendo in partenza di non essere in grado di governare, avendo i voti, ma non avendo idee, personale politico, storia, preparazione all’altezza della situazione interna ed internazionale; dall’altra parte la sinistra che punta a “perdere” con onore accontentandosi di sopravvivere e di salvare il salvabile a livello di continuità democratica del sistema.

La destra è alla disperata ricerca di personaggi che possano sdoganarla dalla prigione populista e sovranista in cui si è cacciata (la ricerca assomiglia molto a quella dell’ago nel pagliaio): tutto egoismo spacciato per realismo (il possibile), tutta sostanziale anche se omertosa nostalgia di un vergognoso passato spacciato per cambiamento (arte).

La sinistra non ha il coraggio di scandagliare fino in fondo l’inaffidabilità democratica e costituzionale della destra, dice e non dice, tende ad ergersi ben oltre la polemica sull’antifascismo (posizione non di comodo, ma di verità), però non ha l’autorevolezza per una propria proposta programmatica e finisce per fare anacronistiche battaglie di principio col rischio di non essere credibile ed autorevole: poca fantasia artistica e scarsa ricerca del possibile. Aggiungiamoci una discutibile qualità della classe dirigente e il fantasma di Mario Draghi che continua ad aleggiare e arriviamo al balbettio di Entico Letta spacciato per equilibrato senso politico.

In conclusione la politica non è più l’arte del possibile, ma lo squallido artigianato dell’impossibile. Ecco perché continuo a ritenere che forse l’unica via d’uscita rispetto allo strisciante e pericoloso pantano dell’ingovernabilità in cui rischiamo di sprofondare possa essere non tanto una riedizione del governo Draghi, ma una presidenza della Repubblica di Mario Draghi, una riforma presidenzialista di fatto che dia alla destra la patente “governista” e alla sinistra quella “opposizionista” e ci consenta di vivere all’onor del mondo. Poi si vedrà. Di una cosa sono convinto: lo scenario attuale è molto precario e quindi ci vorrà tempo per tornare alla politica quale arte del possibile. Speriamo di arrivarci senza cadaveri intermedi.