Contro il pallone la ragion non vale

“La dura legge del calcio. Sinisa Mihajlovic non è più l’allenatore del Bologna. Da diversi giorni la sua panchina aveva cominciato a scricchiolare, perché nello sport a contare sono sempre e soltanto i risultati. E i tre pareggi e le due sconfitte che dopo cinque giornate di campionato relegano il Bologna nella parte bassa della classifica sono inequivocabili numeri. «Anche se Sinisa Mihajlovic da oggi non sarà più l’allenatore del Bologna – ha detto subito dopo l’annuncio dell’esonero il proprietario del Bologna Joey Saputo, canadese di origini italiane –, questa società e tutte le persone che la compongono saranno sempre al suo fianco fino alla sua completa e totale guarigione e nel prosieguo della sua carriera. È stata la decisione più difficile che ho preso da quando sono presidente del Bologna».

La dura legge dello sport, appunto. E soprattutto di un calcio che ha sempre più a che vedere con ragionamenti economico-finanziari. Ciò detto, a pagare in questi casi è sempre fatalmente l’allenatore. Anche se tre anni fa, il mister in questione aveva commosso tutti con l’annuncio della sua malattia (la leucemia), poche settimane dopo aver salvato il Bologna subentrando in corsa a fine gennaio 2019 a Filippo Inzaghi. Il suo spirito da combattente era stato in fretta inoculato alla squadra e l’impresa salvezza compiuta con 30 punti in 17 giornate e il decimo posto in classifica”. (dal quotidiano “Avvenire”)

Mio padre considerava l’allenatore “un professionista” da giudicare come tale, senza sottovalutarlo, ma anche senza enfatizzarne il ruolo. Mi sembra che l’attuale andamento del mondo calcistico tenda ad esagerarne la funzione e di conseguenza a scaricargli addosso soprattutto colpe e responsabilità eccessive.

Come non ricordare quando di fronte ad errori clamorosi di un giocatore (occasione da goal fallita, passaggio decisivo totalmente errato etc.) mio padre provocatoriamente affermava: “L’ é tutta colpa ‘d alenadór”. Lo scarica barile è un mezzuccio che non risolve i problemi, intendeva dire.

Consentitemi di riportare un piccolo episodio, questa volta, davanti al video, vale a dire una delle solite vuote interviste propinate ai fanatici del pallone. Parla il nuovo allenatore di una squadra, non ricordo e non ha importanza quale, che ottiene subito una vittoria ribaltando i risultati fin lì raggiunti. L’intervistatore chiede il segreto di questo repentino e positivo cambiamento e l’allenatore risponde: “Sa, negli spogliatoi ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti che dovevamo vincere”. Non ci voleva altro per scatenare la furia ironica di mio padre che, scoppiando a ridere, soggiunse: “A s’ capìssa, l’alenadór äd prìmma,  inveci, ai zugadór al ghe dzäva äd perdor”. Anche gli allenatori si fanno degli autogol, non sanno essere solidali fra di loro e si lasciano risucchiare nel tritacarne pallonaro.

A proposito di allenatori poco fortunati ne voglio citare uno del Parma (non ricordo il periodo, ma non ha alcuna importanza), un certo Canforini, tecnico che dalle formazioni giovanili era approdato alla prima squadra. Le cose obiettivamente non andavano bene, la squadra era indiscutibilmente in crisi e, succedeva purtroppo anche allora, scattò la contestazione dei tifosi. Ognuno è ovviamente libero di esprimere le proprie critiche, più che mai in un ambiente come lo stadio, ma a tutto c’è un limite. Al termine dell’incontro, finito molto male per il Parma, l’allenatore Canforini fu accolto all’uscita dagli spogliatoi da una pioggia di sputi. Mio padre lo imparò il giorno successivo dalle cronache del giornale, perché evitava scrupolosamente i dopo-partita più o meno caldi. Ne rimase seriamente turbato dal punto di vista umano e reagì, alla sua maniera, dicendomi: “E vót che mi, parchè al Pärma l’à pèrs, spuda adòs a un òmm, a l’alenadór? Mo lu ‘l fa al so mestér cme mi fagh al mèj. Sarìss cme dir che se mi a m’ ven mäl ‘na camra al padrón ‘d ca’ al me dovrìss spudär adòs! Al m’la farà rifär, al me tgnirà zò un po’ ‘d sòld, mo basta acsì.”

Mio padre esercitava il mestiere di imbianchino e quegli sputi se li era sentiti addosso, faceva infatti un paragone e ipotizzava di venire sputacchiato in caso di brutta tinteggiatura di una stanza. Non poteva concepire un’offesa del genere, soprattutto in conseguenza di un fatto normalissimo anche se spiacevole: perdere una partita di calcio. E continuò dicendo: “Bizòggna ésor stuppid bombén, a ne s’ pól miga där dil cozi compagni.” É una delle cose dette da mio padre che mi è rimasta più impressa. Peccato che allo sfortunato Canforini non bastò ad evitare l’esonero ma fu sufficiente, senza saperlo, ad avere la solidarietà di un uomo che lavorava e sbagliava né più né meno come lui. Non so come proseguì la carriera di Canforini, se tornò ad allenare le giovanili, se cambiò squadra, se cambiò mestiere, se cambiò città, ma continuò ad avere tutta la mia “guidata ed ispirata” solidarietà.

Ho tirato in ballo la eloquente saggezza di mio padre. Aggiungo una considerazione che potrebbe sembrare moralistica ed in effetti la è per un ambiente che oserei definire amorale (basti pensare ai compensi milionari, ai bilanci truccati, agli scandali vari, etc. etc.). Non c’è molta differenza fra gli sputi riservati al suddetto Canforini e l‘esonero di Sinisa Mihajlovic. Se possibile quest’ultimo gesto è ancor peggiore, perché il primo tutto sommato risentiva del fanatismo dei tifosi, mentre il secondo è frutto gelido di un calcolo di presunta convenienza economica.  Lo stupido andazzo calcistico non si ferma nemmeno di fronte ad una grave malattia: non c’è rispetto non solo per il lavoro di un professionista, ma persino per la sua persona. Il provvedimento della società calcistica bolognese è affrettato, inopportuno, irresponsabile e umanamente odioso. Un motivo in più per seguire con crescente scetticismo le vicende calcistiche e per guardare con ulteriore distacco al più bello degli sport, a cui progressivamente stanno togliendo tutto il buono per lasciarvi solo…i soldi.