Duro o morbido sempre draghismo è

Draghi è troppo ottimista quando dice che qualsiasi governo ce la farà? “Draghi è stato giustamente molto istituzionale parlando di “qualunque governo”. La verità è che all’estero oggi aleggia un incubo. Tutti ricordano il baratro del 2011, con il governo Berlusconi – e Tremonti e Meloni ne erano ministri – costretto a dimettersi perché il Paese era sull’orlo della bancarotta. Dieci anni dopo l’Italia si è rialzata ed è risanata. Ma ecco che loro si ripresentano nella stessa formazione pronti per una nuova bancarotta. La preoccupazione evidentemente c’è tutta ed è legittima. I protagonisti sono gli stessi tre di allora, con dieci anni di più e nessuna lezione imparata dagli errori fatti”.

È un brevissimo passaggio di una intervista rilasciata da Enrico Letta al quotidiano Avvenire. Il segretario PD torna sul ritornello-incubo molto realistico, che da più parti viene “cantato”: se vince il centro-destra di Giorgia Meloni e Matteo Salvini (Berlusconi sembra ormai contare come il due di coppe), sei mesi di tempo e arriva la troika europea a metterci in riga.

Senza fare propaganda catastrofista, mi sembra una prospettiva da prendere in seria ed inquietante considerazione. Le farneticazioni destrorse, oscillanti fra flat tax, riforma delle pensioni e clamorosi sforamenti di bilancio, prescindono dalla salute dei conti pubblici per andare verso la demagogia programmatica, che potrebbe effettivamente portarci al massacro della bancarotta con tutto quel che segue.

I casi sono tre. La prima possibilità è che una volta al governo la destra si rimangi bellamente tutte le promesse e si adatti, con poca credibilità ma con inevitabile pragmatismo, ad una politica del possibile, rifugiandosi magari nel diversivo delle fantasie istituzionali per crearsi l’alibi della impossibilità a governare, alzando l’asticella delle riforme costituzionali. Si tratterebbe della prospettiva del “tanto rumore per nulla”.

Il secondo scenario prenderebbe dolorosamente atto della incapacità della destra di affrontare la situazione a prescindere dai voti ottenuti nelle urne. Un’emergenza così forte e diffusa da consigliare un immediato ritorno al governo Draghi. Un “dove eravamo rimasti?” di “tortoriana” memoria. Giorgia Meloni sta mettendo le mani avanti allorquando sostiene che il capo dello Stato non potrà non prendere atto del risultato elettorale. Il presidente Mattarella dovrà tener conto di tutto, la Costituzione glielo consente e glielo consiglia, e agire di conseguenza. Se la casa brucia, non è il caso di formalizzarsi su chi sia più o meno attrezzato per spegnere l’incendio, ma tutti indistintamente devono impegnarsi in tal senso, capeggiati da chi ha consapevolezza, esperienza e capacità per guidare l’esercito degli spegnitori. Sarebbe cioè un ricorso al draghismo duro e puro, senza se e senza ma.

La terza prospettiva, intermedia rispetto alle due di cui sopra, è quella a cui penso da parecchi giorni: un “aiutino” di Draghi, eletto unanimemente presidente della Repubblica, ad un governo di centro-destra, magari leggermente allargato a livello parlamentare e opportunamente sfumato nella sua composizione: un presidenzialismo morbido, che ho recentemente definito “de factotum”, con evidente allusione al potere (quasi) taumaturgico di un Draghi sempre in vena di miracoli. A livello europeo e internazionale molte preoccupazioni rientrerebbero di fronte a così autorevole garante. E l’economia? A questa sovrintenderebbe comunque Draghi, tenendo ad un elegante guinzaglio i destrorsi e tappando dolcemente la bocca ai sinistrorsi. Sarebbe l’ennesima vittoria sotto traccia di Matteo Renzi. Giorgia Meloni, o chi per essa, si illuderebbe di governare: cosa non si fa per il potere…

Il tutto avverrebbe sotto il sacrosanto e tacito ricatto (?) della troika, nella paura del fantasma (?) bancarottiere, contando sull’omertosa capacità di adattamento degli elettori, che si risveglieranno dal paradossale sogno di destra: ci siamo divertiti, adesso bisogna tornare a fare sul serio. Come a scuola, quando si fa casino con la supplente per mettersi rapidamente in riga al ritorno del professore.