Da un comico-politico ad un politicante-comico

Noi siamo disponibili a condividere una responsabilità di governo, come abbiamo fatto sin qui, ma occorre un forte segno di discontinuità». Sono queste le prime parole di Giuseppe Conte dopo l’incontro a Palazzo Chigi con il premier Mario Draghi. Dovevano vedersi nel pomeriggio, ma l’appuntamento è stato anticipato per evitare che il faccia a faccia si svolgesse in contemporanea con l’arrivo in Aula alla Camera del decreto Aiuti, sul quale i Cinque stelle hanno sollevato una polemica aspra e nelle ultime ore, tra i parlamentari, è stata sventolata la minaccia di non votare la fiducia.

«Ho consegnato al presidente del Consiglio un documento con le nostre richieste, perché abbiamo accumulato un forte disagio politico. Giustamente – aggiunge Conte – si è preso del tempo per riflettere sulle nostre proposte. Non mi aspettavo una risposta immediata, non sarebbe stato serio». Il documento, partorito dalla riunione del Consiglio nazionale del Movimento, poi consegnato al premier, contiene le misure di bandiera sulle quali il M5S chiede, si legge, «posizioni risolutive» da Draghi. Nella lista dei sogni grillini c’è di tutto. Dal reddito di cittadinanza, sul quale «non siamo disponibili a considerare ulteriori restrizioni ancora più penalizzanti», scrive Conte, alla «urgente» riforma del salario minimo. Ci sono i decreti attuativi del decreto Dignità da approvare al più presto «per contrastare il precariato», alla richiesta di un nuovo scostamento di bilancio per aiutare famiglie e imprese, perché «un bonus di 200 euro non basta a risolvere i problemi delle persone», punge Conte. C’è anche il nodo Superbonus, che sta bloccando a Montecitorio il voto sul decreto Aiuti, sul quale si chiede uno «sblocco delle cessioni, che per noi è assolutamente imprescindibile». A seguire, l’ex premier pone il tema della transizione ecologica, che non può tradursi nel via libera a nuove trivelle, e chiede la rateizzazione delle cartelle, il ritorno del cashback fiscale che il governo aveva archiviato «con un tratto di penna, senza neppure consultarci», così come il ritorno della «dialettica parlamentare finora negata» dall’esecutivo, soprattutto sul tema dell’invio di armi a Kiev. Per tutto questo, mette in guardia il leader M5S uscendo da palazzo Chigi, «abbiamo bisogno di risposte chiare e impegni precisi in tempi ragionevoli».
Il premier, secondo quanto riferiscono fonti di Palazzo Chigi, «ha ascoltato con attenzione quanto rappresentato dal Presidente del M5S. I due torneranno a incontrarsi prossimamente». (La Stampa).

Se è vero che i voti non si contano ma si pesano, è altrettanto vero che i documenti politici si scrivono, ma contano in base alla credibilità e al potere contrattuale di chi li scrive. Il documento presentato da Conte a Draghi è il bignamino dei cavalli di battaglia dei grillini: di tutto un po’. Il problema è innanzitutto quello di verificare la credibilità del leader che sta guidando il movimento in una fase prefallimentare: come può un politico, improvvisato nel 2018 come leader governista, passato con poca eleganza e molto opportunismo da un governo all’altro, trasformarsi in leader protestatario e piazzaiolo? Non è credibile! Come può un interprete riveduto e scorretto dell’uomo buono per tutte le stagioni incarnare improvvisamente l’antipolitica? Non ci sta! Come può un pragmatico navigatore diventare un trascinatore carismatico? Non è possibile!

A lui il movimento si è aggrappato per sopravvivere al governo Draghi, ma ora che Draghi brilla sempre più di luce propria, i pentastellati non gli fanno né caldo né freddo, finiscono con l’essere tiepidi col governo e inadatti all’opposizione. Se stanno nel governo perdono l’identità barricadiera da cui sono partiti, se vanno all’opposizione perdono la poca legittimità istituzionale che è loro rimasta: in entrambi i casi perderebbero ulteriormente voti. Allora sono costretti a barcamenarsi e quale migliore arma di un documento che finirà nel cassetto di Draghi al netto di qualche insignificante contentino e nel dimenticatoio della gente che ha ben altro a cui pensare. Si tratta di astuzie politiche vecchie come il cucco, messe in atto in passato da politici, che la sapevano molto più lunga di Giuseppe Conte.

Credibilità tendente a zero da parte di un movimento senza capo né coda, potere contrattuale molto relativo da parte di una pattuglia di parlamentari a cui peraltro non conviene assolutamente mettere in crisi il governo pena l’autodistruzione totale. Durante la vergognosa kermesse per l’elezione del presidente della Repubblica si sono dovuti rifugiare sotto la gonna di Mattarella per difendere la loro sopravvivenza (mossa che, bisogna ammetterlo, ha evitato all’Italia guai ben peggiori), adesso non rimane loro che ascoltare Mattarella e appoggiare Draghi obtorto collo. Il resto è teatrino di pessima qualità. È penoso vedere come stia finendo un movimento che voleva spaccare le montagne della politica e che raccoglieva milioni di voti per un non meglio precisato cambiamento. Non è cambiato niente, la politica è intatta nei suoi peraltro molti e gravi difetti. L’unica cosa che è cambiata è il leader del M5S: non più un comico prestato alla politica, ma un politicante prestato alla comica. E gli italiani che, in un certo senso se lo sono voluto (forse non sapevano dove sbattere la testa), stanno a guardare o meglio, anziché votare, se ne stanno a casa.