Un papa molto evangelico e poco diplomatico

Vedere un Papa in Russia sarebbe un avvenimento storico. Vederlo lì nelle attuali circostanze avrebbe già dell’incredibile. Eppure, Francesco non demorde e annuncia di essere pronto non per andare a Kiev, come si mormora da tempo, ma per raggiungere a Mosca Vladimir Putin.

«A Kiev per ora non vado», spiega il Pontefice in un colloquio con il Corriere della Sera. «Ho inviato il cardinale Michael Czerny, (prefetto del Dicastero per la Promozione dello Sviluppo umano integrale) e il cardinale Konrad Krajewski, (elemosiniere del Papa) che si è recato lì per la quarta volta. Ma io sento che non devo andare. Io prima devo andare a Mosca, prima devo incontrare Putin. Ma anche io sono un prete, che cosa posso fare? Faccio quello che posso. Se Putin aprisse la porta…».

Jorge Mario Bergoglio, però, si spinge oltre e dà una sua visione di che cosa possa avere scatenato la guerra in Ucraina. Secondo Papa Francesco, forse «l’abbaiare della Nato alla porta della Russia» ha indotto il capo del Cremlino a reagire male e a scatenare il conflitto. «Un’ira che non so dire se sia stata provocata – riflette – ma facilitata forse sì».

«Non so rispondere, sono troppo lontano, all’interrogativo se sia giusto rifornire gli ucraini – ragiona -. La cosa chiara è che in quella terra si stanno provando le armi. I russi adesso sanno che i carri armati servono a poco e stanno pensando ad altre cose. Le guerre si fanno per questo: per provare le armi che abbiamo prodotto. Così avvenne nella guerra civile spagnola prima del secondo conflitto mondiale. Il commercio degli armamenti è uno scandalo, pochi lo contrastano. Due o tre anni fa a Genova è arrivata una nave carica di armi che dovevano essere trasferite su un grande cargo per trasportarle nello Yemen. I lavoratori del porto non hanno voluto farlo. Hanno detto: pensiamo ai bambini dello Yemen. È una cosa piccola, ma un bel gesto. Ce ne dovrebbero essere tanti così».

Quanto ai suoi rapporti con il Patriarca ortodosso Kirill, che all’inizio del conflitto aveva spinto i russi ad appoggiare Putin, Francesco svela: «Ho parlato con Kirill 40 minuti via Zoom. I primi venti con una carta in mano mi ha letto tutte le giustificazioni alla guerra. Ho ascoltato e gli ho detto: di questo non capisco nulla. Fratello, noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Per questo dobbiamo cercare vie di pace, far cessare il fuoco delle armi. Il Patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin. Io avevo un incontro fissato con lui a Gerusalemme il 14 giugno. Sarebbe stato il nostro secondo faccia a faccia, niente a che vedere con la guerra. Ma adesso – conclude Bergoglio – anche lui è d’accordo: fermiamoci, potrebbe essere un segnale ambiguo».

Abbiamo un papa in splendida forma. Mi piace il suo modo coerente di porsi di fronte alla guerra. Non è un diplomatico anche se non è certo uno sprovveduto, ha il coraggio di prendere, come si suole dire, il toro per le corna, di parlare come glielo impone il Vangelo, di andare contro corrente. Il concetto più ardito che ha espresso non è tanto l’insistente volontà di recarsi in visita da Putin, ma la probabilità che le posizioni rigide della Nato abbiano favorito (e stiano favorendo, aggiungo io) un clima di scontro propedeutico allo scatenamento e al rinfocolamento del conflitto. Gli errori della Nato sono tanti: passati, presenti e probabilmente anche futuri. Chi lo dice è, secondo la vulgata unica mediatica, amico di Putin o, nella migliore delle ipotesi, amico del giaguaro. Sarebbe ora di finirla con queste semplificazioni anti-storiche, anti-democratiche, aculturali e amorali. A quanto pare il Papa non sceglie il vangelo secondo l’Occidente (a differenza di Kirill che snocciola quello secondo l’Oriente, o meglio secondo le convenienze della Chiesa ortodossa).

Notevole anche l’insistente (pur se temperata dall’autoproclamata lontananza rispetto alle questioni politiche) condanna delle armi. Parole coraggiose e profetiche. Bene ha fatto a rilasciare questa intervista ad un giornale laico: vale il doppio. Spero che nessuno abbia la faccia tosta di criticare il Corriere della sera per aver ospitato questa autorevolissima voce fuori dal coro e che nessuno abbia il cattivo gusto di strumentalizzare le affermazioni e le intenzioni di papa Francesco.

Qualcuno (Michele Santoro) sostiene che il dibattito sia sordomuto rispetto al pensiero critico, qualcun altro (Alan Friedman) pensa che troppo e confuso spazio si dia alle opinioni critiche. La critica è il sale della democrazia e in questo caso è una sana premessa di pace. Il papa ha scelto costruttivamente di schierarsi nel campo della critica alla guerra, di qualunque guerra.

La politica, a tutti i livelli e in tutto il mondo ha di che riflettere.  Se Francesco avrà modo di sbattere in faccia a Putin la verità evangelica (lui che è abituato a sentirsela canticchiare da certa gerarchia compiacente), sarà cosa buona e giusta. La lezione ha anche una valenza riguardante la moralità della politica: la verità viene prima delle convenienze personali e di stato e va testimoniata partendo, senza settarismi e preconcetti, proprio da chi la sta apertamente violando. Ognuno però dovrà smetterla con le proprie menzogne: si intuisce un simile invito dietro le semplici ma pesanti parole del papa. Una seria ricerca della pace deve infatti partire dalla verità, altrimenti che pace è: sarà una semplice tregua armatissima in attesa della prossima guerra. Si dirà: meglio una tregua armata che una guerra continua. D’accordo, ma non è mestiere da papa, è mestiere da diplomatici, che non può portare ad autentici obiettivi evangelici.