Il digiuno transalpino

Mi sono chiesto: se fossi un cittadino francese, come avrei votato alla recente consultazione elettorale per la nomina dell’inquilino dell’Eliseo? Senza grande spinta mi sarei con ogni probabilità orientato su Jean-Luc Mélenchon – fondatore nel 2008 del Partito di Sinistra e attuale leader de La France Insoumise (“La Francia Indomita”), il principale gruppo politico di sinistra – più per istintiva nostalgia a rischio populismo che per ragionata convinzione a rischio moderatismo.

Emmanuel Macron è stato il candidato più votato al primo turno delle presidenziali francesi. Nei risultati definitivi, il presidente uscente ha il 27,85% mentre Marine Le Pen il 23,15%. Il 24 aprile i due contendenti si sfideranno di nuovo, come nel 2017, per la conquista dell’Eliseo.

Terzo è l’ex socialista di sinistra Jean-Luc Mèlenchon, leader di La France Insoumise, con il 21,95%. Viva la delusione al quartier generale di Mélenchon, che puntava davvero al secondo turno. Come spesso mi è capitato nelle mie scelte politiche, avrei perso di brutto.

Si va quindi al ballottaggio e Macron risulta in testa anche nei sondaggi per il secondo turno, che danno risultati piuttosto diversi: Ifop-Fiducial dà Macron al 51% e Le Pen al 49%, un testa a testa molto incerto; Ipsos Sopra-Steria e OpinionWay, invece, danno il presidente uscente al 54% e la candidata della destra radicale al 46%. Il margine d’errore è del 3%.

Qui, per me, verrebbe il bello. Cosa fare come ipotetico elettore francese? Turarmi il naso e votare Macron per scongiurare il peggio incarnato dalla Le Pen? Da parecchio tempo i francesi sono costretti a votare a denti stretti pur di sbarrare la strada all’estrema destra. Successe anni fa con Chirac preferito a Le Pen padre, succederà oggi con Macron preferibile a Le Pen figlia.

Si potrebbe anche non disturbare le narici e lasciare che vinca il peggiore: a volte può servire toccare il fondo per risalire. Sì, forse farei così, anche perché Emmanuel Macron, visto da lontano, mi sembra molto deludente: malato di protagonismo come i suoi concittadini, non mi ispira più quel barlume di fiducia che gli avevo concesso alla sua prima elezione.

La convivenza degli italiani con i cugini francesi e viceversa non è mai stata troppo facile e serena: ci si odia cordialmente. Ricordo come mia sorella, nella sua solita schiettezza di giudizio, una volta si lasciò andare e parlò di “quegli stronzoni di Francesi”: forse non sbagliava di molto.   Un conto è essere superiori su basi oggettive, un conto è ritenersi aprioristicamente migliori. Sono convinto che la Francia, come del resto l’Italia, abbia parecchi scheletri nell’armadio da nascondere e invece di cercare l’alleanza con i Paesi più simili, con cui instaurare collaborazioni e solidarietà, e di puntare su un europeismo genuino e convinto, ha preferito la fuga in avanti verso la Germania o addirittura la Russia: della serie “è meglio leccare i piedi ai tedeschi” e strizzare l’occhio a Putin che sopportare “la puzza dei piedi” degli italiani e appiattirsi su Ue, Usa e Nato. Se non è nazionalismo questo…

Non ci mancava che il macroniano e penoso protagonismo telefonico durante la vicenda russo-ucraina a copertura della storica ma sempre torbida strategia francese. Devo ammettere di avere inizialmente sopravvalutato Macron per poi, strada facendo, ridimensionarlo. Mia sorella, per certi versi più netta di me nei giudizi, direbbe, “da lu a niént da sén’na…”. Ai francesi quindi non rimane che votare il meno russofilo dei candidati all’Eliseo, considerata la smaccata anche se imbarazzata preferenza verso il populismo putiniano da parte di Marine Le Pen, e quindi scegliere tra la, più autoctona che moderata, cena offerta da Macron e la indigesta scorpacciata destrorsa della sua competitor. Sarei portato a rifiutare un simile ballottaggio sulla base di un ragionamento molto terra terra: “Putost che nient (Macron o Le Pen) l’è mej putost” (l’astensione dal voto).

La frase «Se non hanno più pane, che mangino brioche» (in francese S’ils n’ont plus de pain, qu’ils mangent de la brioche) è tradizionalmente attribuita a Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena, che l’avrebbe pronunciata riferendosi al popolo affamato, durante una rivolta dovuta alla mancanza di pane. Vai a capire dove stia il pane mancante (forse dal fornaio Macron) e dove si trovino le brioches di fantasia (forse dalla pasticcera Le Pen).  A quel punto, se francese fossi, proclamerei un digiuno.