Ho sempre seguito con interesse la conferenza stampa di fine anno del capo del governo: un’occasione per ribadire il mio interesse verso la politica, possibilmente fatta non di chiacchiere; un rendiconto annuale del Presidente del Consiglio, illustrato ai rappresentanti della stampa, dovrebbe effettivamente essere un evento riguardante la politica dei fatti.
Ero andato con mia madre e mia nonna a trascorrere qualche giorno di vacanza a Fabbro Ficulle (paesino in provincia di Terni), ospite del convento dove viveva mia zia suora Orsolina. Avevo quattro-cinque anni, non ricordo con precisione. Pranzavamo in una saletta messa molto gentilmente a nostra disposizione ed in quella saletta vi era un apparecchio radio: la nonna gradiva ascoltarla durante il pasto, soprattutto le piaceva ascoltare il giornale radio. Un giorno al termine del notiziario politico me ne uscii candidamente con questa espressione: “Adesso nonna chiudi pure la radio, perché a me interessa il governo”. Facile immaginare le reazioni di mia madre, ma soprattutto di mia nonna, incredula e divertita, che rideva di gusto, anche se forse aveva fatto qualche pensiero su questa mia stranezza infantile.
Il premier Gentiloni non ha deluso le aspettative e, con il suo stile sobrio, ha dato un’idea concreta della sua azione di governo. Chi ha deluso sono stati gli autorevoli (?) giornalisti che lo interrogavano: istigati dalla contemporanea chiusura della legislatura e dalla automatica apertura della campagna elettorale, lo hanno sottoposto ad un monotono ritornello di domande, tutte più o meno riconducibili alla sua volontà di ricandidarsi. In poche parole tentavano di farlo litigare con Renzi, volevano spillargli una qualche battuta su cui imbastire il dualismo elettorale col segretario PD. Gira e rigira, il motivo era sempre quello, si partiva e si finiva lì.
L’onorevole Aldo Moro, durante una conferenza stampa da Presidente del Consiglio – allora la serie di tribune elettorali culminava in quella riservata al capo del governo in carica – di fronte ad una domanda ripetitiva, con il suo inconfondibile e flemmatico stile, non degnò neppure di uno sguardo il giornalista pappagallo, si rivolse al moderatore e laconicamente disse: «Ho già risposto…». Con quella scarna battuta aveva indirettamente rivolto ai suoi colleghi un pressante invito alla sostanza della politica (lui che sapeva fare discorsi di ore, era capace di non sprecare neanche un minuto sulle oziose polemichette da quattro soldi) ed una lezione di etica professionale ai giornalisti chiacchieroni e disattenti.
Se Paolo Gentiloni avesse usato lo stesso criterio moroteo, la conferenza stampa di fine anno 2017 sarebbe durata poco e il moderatore Carlo Verna avrebbe dovuto incassare un imbarazzante sequela di “ho già risposto”.
Gentiloni non è Moro, ma comunque non è caduto nella trappola. Con un tono tra lo scocciato e il rassegnato ha dribblato i pelosi complimenti verso di lui, che preludevano scorrettamente ad attacchi verso Renzi e il PD.
Mi pare esistesse in passato una trasmissione televisiva o radiofonica che si intitolava “uno contro tutti” o “tutti contro uno” come dir si voglia: sarà il leit motiv della campagna elettorale? Penso di sì. Renzi ha la sua parte di colpa nell’attirare su di sé un’esagerata attenzione. Non c’è dubbio: parla troppo! Non è questione di quantità: i politici hanno sempre parlato molto per non dire nulla. Aldo Moro sapeva parlare molto e poco a seconda dei casi. I tempi sono cambiati. Consiglio tuttavia a Renzi di farsi magari un po’ di violenza e di contenersi: i suoi logorroici competitor lo tireranno a cimento, i giornalisti mestieranti lo provocheranno in continuazione, gli elettori può darsi finiscano col votare chi (s)parla poco.