La dieta della sinistra a base di Grasso

Alla mia veneranda età, non tanto e non solo anagrafica ma soprattutto politica, nei giudizi tende a prevalere il disincanto al limite dello scetticismo, il coraggio di scartare vince sulla prudenza di aspettare. Di fronte al discorso di investitura di Pietro Grasso a leader del nuovo (?) partito-movimento-lista, che raggruppa MDP, SI, Possibile e altri, in parole povere che raccoglie tutti gli scontenti e gli avversari del PD a sinistra del PD (i duri e puri…), ho provato grande pena e malinconia, un senso di ripulsa (lo devo ammettere) verso un’operazione politica di dubbia sincerità ed autenticità (non vado per il sottile).

La generica dissertazione tuttologica, che ho potuto ascoltare integralmente in diretta sulla Rai (strana questa disponibilità di spazio per una televisione pubblica ritenuta asservita al potere renziano), mi ha riempito di tristezza: si vorrebbe ripartire dall’anno zero, dall’abc della sinistra storica, dal recupero dell’identità, dal collegamento con le forze sane del Paese, come se fino ad oggi la sinistra non fosse mai esistita e tutto il male, che non vien per nuocere, fosse imputabile a Matteo Renzi ed alla sua proposta politica. Ecco perché definisco falsa l’iniziativa che vuole solo aggregare gli arrabbiati, cavalcandone strumentalmente i più triti argomenti. Non ho ascoltato neanche una proposta riformatrice degna di questo nome, ma solo un elenco di ovvietà e di propositi velleitari. Volete un esempio: “i bonus ai giovani finiscono, ma i giovani restano…”. Era da tempo che non mi imbattevo in simili scemenze nel dibattito politico della sinistra.

Quando il discorso si affacciava timidamente alla sostanza dei problemi al di là delle forzature polemiche, non si notava alcuna diversità rispetto alle proposte del PD. Si è voluta camuffare l’evidente povertà della rancorosa operazione ricorrendo al carisma (?) di un non-politico, di un uomo che veniva dalla società civile e forse era meglio se ci rimaneva. La politica non si impara in quattro anni ricoprendo un alto incarico istituzionale. Il discorso è molto più complesso e difficile. Pietro Grasso non conferisce alcuna novità alla sinistra e dà solo copertura alle solite manovrine sinistrorse. Vi erano più applausi che proposizioni a dimostrazione che si voleva solo ingaggiare un uomo delle istituzioni trasformandolo in un improbabile capo-popolo.

Se dovessi fare un resoconto di questo comizio sarei in gravissime difficoltà: tutto compreso nel biglietto. Un tuffo nel passato: il recupero del cordone ombelicale con la CGIL, la rivisitazione dei luoghi comuni della burocrazia post-comunista, il riciclaggio di personaggi logori ed astiosi, la riproposizione riveduta e scorretta di categorie del sociologismo datato, il rifugio identitario nell’utopismo fragile, la voglia di fare un dispetto alla moglie PD tagliandole sadicamente i legami con il popolo. Il tutto non per prendere la rincorsa, ma per rimanere ancorati a schemi superati, per celebrare una rivalsa, per conservare un potere più di nicchia che di piazza, più di nostalgia che di futuro. Il nuovo movimento si chiamerà “liberi e uguali”: liberi di far male alla sinistra ed al suo elettorato potenziale; uguali a chi nella storia ha scelto il massimalismo a danno del riformismo, regalando il sistema alla conservazione se non alla reazione.

È inutile girarci intorno: si tratta di un fatto grave, che prelude ad una grave sconfitta, l’ennesima e forse decisiva. Non riesco a farmene una ragione, non capisco e quel che capisco mi fa quasi ribrezzo. Non ho idea di quanto consenso riuscirà a catalizzare questo nuovo partito, non so quanti voti “ruberà” al PD.   L’importante per questi signori è far perdere Renzi, costi quel che costi. Volendo parafrasare il coro finale del Macbeth verdiano, al convegno   costituente, su cui Grasso ha messo il proprio cappello, si sarebbe potuto cantare: «Renzi, Renzi ov’è?…dov’è l’usurpator…D’un soffio il fulminò il dio D’Alema. L’eroe Grasso spense il traditor».

Dal momento che mi mancano occasioni di confronto e di dibattito e non ho assolutamente voglia di cercarle col lanternino, oltre che sparare a raffica i miei giudizi al veleno, non mi resta che rifugiarmi nel patrimonio culturale ereditato da mio padre. Lui era un socialista senza socialismo ed anche questo lo si deduceva da come spesso sintetizzava la storia della sinistra in Italia, recriminando nostalgicamente sulla mancanza di un convinto ed autonomo movimento socialista, che avrebbe beneficamente influenzato e semplificato la vita politica del nostro paese. Non era anticomunista, ma era autonomo rispetto a questa ideologia ed estremamente critico verso gli aspetti più superficiali, faziosi, demagogici, anticlericali del comunismo italiano. Oggi sentirebbe puzza di bruciato, perché qualcosa di questo comunismo emerge dal massimalismo (da Massimo D’Alema) del nuovo soggetto politico, capitanato frettolosamente da Pietro Grasso, che oltre tutto naturalmente si guarderà bene dal dimettersi da Presidente del Senato. Ma questo è il meno!