Sono anni che sul tavolo politico e istituzionale langue la pratica delle legge elettorale. Quando si fatica ad affrontare un problema, la relativa carpetta istruttoria resta sulla scrivania e non ci si decide ad aprirla. È successo così: prima le riforme istituzionali a cui la legge elettorale avrebbe dovuto adeguarsi; poi la Corte Costituzionale che ha emendato la legislazione vigente creando una sostanziale discrasia tra sistemi elettorali di Camera e Senato; poi diversi tentativi parlamentari di trovare la quadra, falliti sul nascere per il prevalere di interessi di parte.
Più si avvicina la scadenza elettorale e più difficile risulta il tentativo di trovare un compromesso. La Presidenza della Repubblica ha più volte chiesto al Parlamento di provvedere almeno ad omogeneizzare i meccanismi di votazione per le due Camere in modo da non trovarsi con un Parlamento frastagliato e contraddittorio. La dottrina si è esercitata in un asettico ed inutile dibattito che ha solo aggiunto confusione alla confusione.
Finalmente sembra profilarsi una legge che sulla carta dovrebbe godere di un ampio consenso e che, a scanso di imboscate parlamentari, è stata blindata dal governo con l’apposizione del voto di fiducia, atto a sveltire la manovra e ad evitare numerose votazioni segrete sugli emendamenti vari.
Apriti cielo: attentato alla democrazia, emergenza democratica, proteste di piazza, gazzarre parlamentari, etc. La democrazia non è perfetta e, a maggior ragione, non può esserlo una legge elettorale, che inevitabilmente risente degli interessi di parte. Si tratta di cercare un compromesso, che difficilmente sarà di alto profilo, ma servirà a uscire dall’incertezza e dalla confusione. Tutto qui. Chi si scandalizza non ha capito niente dei meccanismi democratici o tenta di strumentalizzare populisticamente la situazione. La storia insegna che il mettere mano alla legge elettorale ha sempre scatenato un allarmistico putiferio di polemiche: chi vuol cambiare le regole si trova immediatamente imputato di “truffa”.
Due sono attualmente gli attori impegnati nel disfattismo: l’immancabile movimento cinque stelle e l’inquieto fronte delle sinistre. Una forza anti-sistema non può che essere contraria a qualsiasi legge che regolamenti l’elezione del sistema. Una sinistra che ritorna alla tentazione della lotta piazzaiola non può che temere ogni e qualsiasi accordo partitico come un attentato alla democrazia. Sono reazioni scontate.
Ciò che non è scontato è invece il sotterraneo mugugno pronto a trasformarsi in imboscata con la protezione del voto segreto. Il dato preoccupante che emerge è questo: l’inaffidabilità di molti parlamentari che, per svariati motivi, nascondono la mano dopo aver tirato il sasso.
Staremo a vedere. Certamente le leggi elettorali che ci hanno guidato al voto nel recente passato non erano equilibrate e razionali. La bagarre legislativa scatenatasi dopo il fallimento della riforma costituzionale ha complicato il quadro. Si tratta di ritrovare un minimo di serietà istituzionale che consenta la maggior corrispondenza possibile tra la libera espressione del voto,la rappresentanza parlamentare e la governabilità del sistema. Non è facile, ma ci si deve riuscire, senza gridare al golpe, senza scatenare la piazza e, possibilmente, senza inqualificabili giochini parlamentari.