Chi tocca la Banca d’Italia muore

Rivado con la mente a Roma, all’EUR, ai lavori di un lontano congresso della Democrazia Cristiana a cui ho assistito come semplice ma interessatissimo invitato. Durante l’intervento dell’allora ministro del Tesoro, Emilio Colombo, si alzò un isolato, ma forte e netto, attacco verbale all’azzimato esponente democristiano ed al suo intervento lungo e tecnicamente pesante: «Te lo ha scritto Carli?» gli chiesero provocatoriamente. Guido Carli era all’epoca il potente governatore della Banca d’Italia. Scaramucce che segnavano la vivacità, ma anche la profondità del dibattito. Allora come ora ci si chiedeva se l’economia dovesse essere indirizzata dal potere delle banche centrali o dalla politica.

Discorso vecchio ritornato d’attualità in questi giorni per il tanto discusso pronunciamento della Camera dei Deputati su iniziativa del Pd, reo di aver presentato un ordine del giorno critico verso l’operato della Banca d’Italia e contenente un sibillino auspicio a riportare l’Istituto ad un più attento ed efficace operato in difesa dei risparmiatori ed in attuazione dei suoi poteri di controllo sul sistema bancario.

È scoppiato un mezzo finimondo politico-mediatico: sarebbe infatti stata lesa la maestà della Banca d’Italia, attaccata la sua autonomia, invaso il campo governativo e quirinalizio relativamente all’ormai prossimo rinnovo del Governatore, attaccato il comportamento di Visco fatto capro espiatorio relativamente alle note, confuse e gravi vicende bancarie.

Ho letto e riletto i passaggi cruciali del documento, quelli che hanno fatto gridare allo scandalo. Non vi ho trovato nulla di scorretto e di inopportuno. Anzi. Da tempo si facevano risalire le disavventure di certe banche alle carenze a livello di vigilanza, non capisco perché, se il discorso approda in Parlamento (tra l’altro è al lavoro anche una commissione d’inchiesta), ci sia da stracciarsi le vesti.

È vero che il discorso avviene a ridosso della nomina del Governatore e che quindi, in teoria e col solito istinto retroscenista, può essere inteso come un’interferenza sui poteri dell’esecutivo e della Presidenza della Repubblica cui spetta tale designazione, ma non vedo sinceramente pericoli di conflitti istituzionali se il Parlamento indirizza raccomandazioni più che giustificate al Governo in questa e altre materie.

Poi si è detto che il Pd vuole scaricare sulla Banca d’Italia le sue colpe, che Renzi vuole distogliere l’attenzione dalle banche in cui sono invischiati certi personaggi, che la politica è alla ricerca di un governatore manovrabile e condizionabile, che tutto rientra ormai nella campagna elettorale e risente di strumentalizzazioni, che l’immagine dell’Italia ne esce compromessa a livello europeo. Se devo essere sincero, le reazioni stizzite in difesa di Banca d’Italia e Visco (di cui peraltro nessuno ha chiesto la testa) più insopportabili le ho riscontrate in Pierluigi Bersani e financo in Walter Veltroni: pensassero alle code di paglia politiche del Pci e successive modificazioni e integrazioni nel caso della malagestione e del dissesto del Monte Paschi Siena (non facciano pertanto i furbi tentando di recuperare la verginità con lo schierarsi in difesa ad oltranza della Banca d’Italia).

Essere autonomi non vuol dire essere intoccabili, essere nominati dal Governo non significa che il Parlamento se ne debba totalmente disinteressare, essere “bollinati” dal Presidente della Repubblica non comporta essere chiusi in una sorta di inattaccabile torre d’avorio bancaria. Non trovo niente di scandaloso anche nel fatto che il Governo abbia chiesto di “alleggerire” il contenuto critico del documento, togliendone i punti direttamente ricollegabili al giudizio su Ignazio Visco: richiesta legittima che rientra nella dialettica fra esecutivo e legislativo.

Le banche ne combinano di tutti i colori, non godono di buona fama presso la pubblica opinione, dei risparmiatori se ne fanno un baffo. La Banca d’Italia non dovrebbe vigilare? Lo faccia e chi la richiama a questo delicato e importante compito non sbaglia. Uno strano Paese l’Italia, dove tutti vomitano accuse ed offese a destra e manca, dove tutti dubitano della correttezza di tutti, dove va di moda lo sport del lancio del fango, dove esistono partiti e movimenti politici che fanno dell’insulto e della insinuazione la loro prassi quotidiana; poi se un partito politico (nel caso il Pd) presenta un documento in Parlamento, alla luce del sole, per criticare la Banca d’Italia ed auspicarne un comportamento più garantista e rassicurante, si crea un caso nazionale ed internazionale.

Parecchio tempo fa mi raccontavano di un incontro informale tra amministratori pubblici della provincia di Parma: un pianto cinese sulle difficoltà finanziarie dei comuni e sulle ristrettezze delle loro comunità. Ad un certo punto uno dei partecipanti sbottò e cominciò ad esprimersi in dialetto, adottando uno spontaneo e simpatico intercalare, scaricando colpe a più non posso sul sistema bancario reo di compromettere sul nascere ogni e qualsiasi intento di ripresa: «Parchè il banchi, ät capi…» diceva a raffica e giù accuse agli istituti di credito. Questo per dire che a volte la politica tende a scaricare sue responsabilità su altri soggetti, ma è pur vero che i detentori del potere finanziario tendono a condizionare scorrettamente la politica, a sentirsi al di sopra di ogni sospetto, magari dopo avere creato disastri (gli esempi sono numerosi a tutti i livelli). Succede in Europa e in Italia.