Il razzismo non dipende dalla paura, ma fa paura

Stavo verificando la presenza del segnale ballerino sul canale di Tv Parma, quando mi sono imbattuto nello sproloquio versiliano di Matteo Salvini. L’impulso è stato di cambiare immediatamente canale, ma ho disgraziatamente resistito spinto dall’intenzione di farmi quattro risate al bar della Lega in compagnia del suo capo. Eravamo effettivamente al bar, i discorsi erano perfettamente ambientabili in tale contesto. Della gloriosa (?) Lega bossiana non c’era più niente. Dall’indipendentismo si è passati al nazionalismo, dall’autonomismo al razzismo, dall’antifascismo al fascismo: un pistolotto sconcertante zeppo di assurdi riferimenti all’attualità. Sembrava di essere in un altro mondo, altro rispetto alla mia mentalità e sensibilità, perfettamente in linea con l’andazzo socio-culturale.

Un piccolo emblematico episodio, una farneticazione politica che dimostra un fatto: è inutile girarci intorno, siamo in presenza di un pericoloso rigurgito fascista , razzista con venature naziste. La tendenza a scaricare sui neri immigrati, più o meno clandestini, i nostri problemi di delinquenza e di violenza sulle donne, sfogare sui ragazzi di colore il bullismo giovanile nostrano, ascrivere la mancanza di lavoro all’invadente presenza dei migranti, gridare all’invasore che mette a repentaglio l’incolumità delle nostre donne, fomentare la paura dell’uomo nero come si fa con i bambini, riportare i conflitti sociali alla guerra tra italiani e stranieri, motivare tutte le nostre insicurezze con la presenza fastidiosa, pericolosa, deleteria dei clandestini pronti a delinquere: sono tutti atteggiamenti che stanno prendendo sempre più corpo e che ci riportano a idee e climi sostanzialmente fascisti.

Da una parte non bisogna drammatizzare, ma dall’altra è necessario non sottovalutare la situazione. I singoli episodi, presi separatamente, possono essere snobbati e sepolti sotto le nostre risate. Se invece li prendiamo nel loro complesso e li analizziamo alla luce di quanto stanno predicando certe forze politiche, non c’è niente da ridere, semmai c’è tutto da piangere. Non si può neanche minimamente giustificare questa deriva razzista con i timori e le paure di una società che si vedrebbe messa in discussione dalle ondate dei barbari invasori. Non scherziamo col fuoco, perché da cosa nasce cosa, dalla giustificazione di assurde paure si arriva alla colpevolizzazione sic et simpliciter dei migranti, dalla colpevolizzazione è un attimo passare all’aggressione, dall’aggressione si arriva alla guerra, dalla guerra si arriva al disastro.

Non mi convincono le discussioni astratte sui confini tra legalità e solidarietà, sul diritto di una comunità a difendere le condizioni della propria riproduzione sociale, della propria continuità civile ed amministrativa che troverebbe una eccezione solo nelle emergenze umanitarie dei rifugiati politici, dei profughi forzati da circostanze eccezionali (vedi Giancarlo Borsetti che pone la questione in termini civilmente ed appassionatamente dialogici su la Repubblica del 02 settembre 2017).

Si afferma che la miglior difesa è l’attacco: nel caso in questione potrebbe significare che per difendersi dall’invadenza migratoria bisogna criminalizzare gli immigrati. Parafrasando questa regola mi sento invece di affermare paradossalmente che la miglior difesa sta nel non chiudersi in difesa di noi stessi, ma nell’aprirsi agli altri: con tutte le cautele dettate dal buon senso e dalle buone intenzioni tradotte in scelte politiche lungimiranti e solidaristiche, s’intende (a tale proposito il vescovo di Parma Benito Cocchi diceva che per fare il bene non basta volerlo, bisogna essere anche capaci di farlo), ma senza chiudere le porte col primo pretesto che si presenta.

Se non esiste un diritto assoluto all’immigrazione, non esiste nemmeno un diritto assoluto a respingere quanti chiedono accoglienza. Nella civiltà greca era previsto un diritto assoluto all’ospitalità, che era considerata sacra. Non vorrei che al fine di recuperare consenso in un clima di tensione sociale finissimo col giustificare le pulsioni razziali che vengono ben prima dell’immigrazione. La storia insegna che i regimi nazifascisti si sono incardinati speculando sulle paure dei diversi ed in un certo senso, a parti invertite, è stato così anche per i regimi comunisti. I regimi sono proprio la degenerazione dei sistemi politici, impazziti a causa dell’insicurezza creata dallo scombinamento sociale. Un manifesto oggi, un cartello domani, un video dopodomani, un’aggressione fra qualche giorno, una spedizione punitiva la prossima settimana, rischiamo di scivolare in un clima razzista “bello e buono”. Dietro tutto ciò c’è una mentalità egoistica che sta ritrovando spazio. Una spruzzata di prezzemolo salviniano (e non solo…) insaporisce il tutto e rende il piatto non indigesto, ma vomitevole.