Tra le tante cose “stravaganti” della mia vita ci sono le lezioni, meglio dire ripetizioni, che davo a un simpatico ragazzino, poco portato allo studio: era faticoso ficcargli in testa certe nozioni. Un giorno eravamo alle prese con la storia degli uomini primitivi e bisognava capire quale fosse stato il loro primo bisogno che cercavano di soddisfare: si trattava del bisogno di nutrirsi, di mangiare, di sopravvivere. Non c’era verso di cavargli di bocca questa deduzione molto elementare. Provai ad aiutarlo coi gesti: gli facevo gesti e movimenti che potessero evocare la ricerca di energia, di nutrimento, di forza. Mi guardava con aria dubbiosa, poi ad un certo punto, come improvvisamente illuminato, sparò la risposta: lo sport! Risi a crepapelle. Anche lui rideva, ma non troppo. Probabilmente si chiedeva cosa avesse detto di così ridicolo ed assurdo da suscitare la mia ilarità. Infatti, se da una parte poteva essere ed era una cavolata buttata a vanvera, dall’altra rappresentava una corrente e distorta mentalità: un bisogno secondario diventava l’incipit esistenziale assoluto. Lo sport che riempie la vita.
Nel periodo estivo, dal momento che il calcio giocato non esiste, considerato che automobilismo e motociclismo di sport non hanno la benché minima parvenza, ci si rifugia nel calcio mercato, nella compra-vendita pedatoria a suon di milioni, negli affari e negli ingaggi di giocatori e allenatori, nel tifo che si alimenta di sogni, nel precampionato affaristico. Si tratta di una stomachevole sarabanda, che dovrebbe convincere gli appassionati ad abbandonare ogni sentimentalismo, invece li nutre, li avvolge e li coinvolge.
Se Arturo Toscanini sosteneva che d’estate non si fa musica né al chiuso, perché fa caldo, né all’aperto perché non se ne coglie la sostanza, si potrebbe sostenere che d’estate non si gioca al pallone ma si va a nuotare in acqua dolce o salata. E allora, “toscaninianamante” parlando, eccoci al ghiotto appuntamento con i campionati mondiali di nuoto alla ricerca di medaglie italiane fra bracciate, tuffi e sincronismi. A parte la penosa immagine robotica e muscolare che gli atleti danno di sé, la competizione c’è e rimane il fatto determinante. Fino ad un certo punto però. Fuori dalla piscina ecco il clamore per gli strabilianti risultati ottenuti, ecco le inutili chiacchiere di ritorno.
Federica Pellegrini con il suo oro nei 200 metri stile libero tiene il banco mediatico, i suoi colleghi Gabriele Detti e Gregorio Paltrinieri, con il loro oro e bronzo negli 800 metri stile libero, fanno fatica a bucare il video e la carta stampata. Differenza: la Pellegrini, senza nulla togliere alla sua lunga e splendida carriera sportiva, è un personaggio ammirato anche a livello di gossip, è una diva (può vantare un fascino ed un sex appeal che vanno ben al di là dei bordi delle piscine); gli altri sono semplici nuotatori che fanno la loro onesta fatica e non incantano nessuno. I titoli dei tg, dei giornali, delle news a tutti i livelli sono per Federica; Gabriele e Gregorio sono sì e no i suoi valletti. Così va il mondo, quello del pallone, del nuoto e financo della politica. Vale chi fa parlare di sé, non solo per l’oggettività del suo comportamento, ma per l’enfasi sulla soggettività della sua vita privata, che non dovrebbe interessare più di tanto. Forse è sempre stato così. Di Fausto Coppi si parlava molto più per le sue travagliate vicende sentimentali che per le sue storiche imprese ciclistiche. Di Gino Bartali si parlava meno, non perché fosse meno bravo, ma probabilmente perché aveva meno tiraggio gossiparo. In conclusione, complimenti a chi vince oro, argento e bronzo. Lo sport, nonostante tutto, in fondo in fondo resta un fenomeno positivo. Ma bisogna andare molto in fondo.