Nella mia ormai lunga vita non ho mai avuto l’ossessione delle ferie estive e, tanto meno, invernali. Però non sono mai stato nemmeno un patito del lavoro. Mio padre, con la sua saggezza, mi ha insegnato che nella vita c’è il tempo per lavorare, anche duramente, ma ci deve essere anche quello per riposare e divertirsi. A volte le circostanze mi hanno costretto a contenere al minimo il periodo di vacanza, talora non ho potuto allontanarmi dalla città al punto da abituarmi a tale modalità vacanziera. Tutto e sempre senza drammi e senza ansie e nervosismi, anche perché al rientro in ufficio mi ritrovavo una tale caterva di lavoro da smaltire al punto da sperperare, in mezzora di ripresa stressante, l’illusorio pieno di tranquillità accumulato e da ripromettermi quindi di non andare più in vacanza.
Ci vediamo dopo le ferie, ne parliamo dopo le vacanze, rinviamo tutto a settembre, riprendiamo il discorso dopo esserci riposati: tutte frasi che si sentono continuamente ripetere e che rappresentano solo l’alibi per giocare al rinvio dei problemi, i quali puntualmente si ripresenteranno ancor più difficili e induriti dalla pausa feriale.
La politica risente come non mai di questo clima pre-feriale, anche perché la pausa per i politici è piuttosto consistente, ma soprattutto perché è il pretesto per fuggire dalle realtà scomode. Prendiamo il Parlamento con una caterva di importanti e urgenti leggi in discussione: una per tutte, lo ius soli, la cittadinanza a chi vive da tempo in Italia (la giudico urgente per tante persone che aspettano con ansia e per tutti gli italiani che vogliano vivere in pace con loro stessi e con gli altri). Su questo provvedimento di civiltà si è strumentalmente scaricato lo scontro sul problema dell’immigrazione: visioni diverse anche a livello governativo e di maggioranza parlamentare. Ebbene, si è trovata la soluzione: rinviamo tutto a settembre inoltrato, come se a quella data la serietà e la ragionevolezza diventassero più facili e gli accordi più semplici da raggiungere. Ma vale anche per altre questioni. Spesso il rinvio feriale diventerà rinvio alla prossima legislatura, per poi finire in un rinvio sine die.
Al rimpallo tra Camera e Senato si aggiunge quello tra periodo lavorativo (peraltro già piuttosto corto) e periodo feriale (peraltro piuttosto lungo). Possibile che di fronte agli enormi problemi che vive il nostro Paese, la classe politica non pensi di dare un segnale di maggiore impegno, rinunciando o contenendo al massimo le ferie o, almeno, smettendo di nascondersi dietro di esse per non assumersi con immediatezza le proprie responsabilità.
Non vorrei che i politici rientrassero nella categoria dei “procrastinatori”, fenomeno che gli scienziati osservano nel mondo occidentale, dove ci si rifugia nel rimando delle proprie responsabilità, preludio psicologico ad un comportamento sfuggente e omissivo.
Molto peggio sarebbe se la coscienza della classe dirigente impegnata nelle istituzioni democratiche si obnubilasse, per abitudine o per mancanza di etica, al punto da non sentire più alcun senso di colpa per le proprie manchevolezze. Certo, fatte le debite differenze, un chirurgo non può preoccuparsi troppo degli interventi operatori da eseguire, rischierebbe di impazzire, ma non deve nemmeno farsi prendere dalla mera routine o addirittura dalla cinica abitudine.
Si fa un gran parlare di riforma e taglio dei vitalizi (le pensioni dei parlamentari). Pur riconoscendo l’opportunità di rivedere severamente e rigorosamente questi trattamenti economici, paradossalmente preferirei non sforbiciare questi diritti (almeno nella parte che non è diventata assurdo privilegio), ma avere un maggiore impegno lavorativo e una maggiore produttività da parte dei parlamentari stessi. Ricordo al riguardo l’atteggiamento del presidente dell’associazione in cui lavoravo: durante le trattative per il rinnovo del contratto di lavoro non voleva parlare di diminuzione dell’orario. “Chiedetemi aumenti di stipendio, diceva, ma non chiedetemi di lavorare meno”. Aveva ragione.
L’Italia brucia negli incendi, ha scarsità di acqua, fatica a offrire lavoro soprattutto ai giovani, è martoriata dal dopo terremoti, è toccata nel vivo dal problema degli immigrati. In questo contesto risulta provocatorio e di pessimo gusto insistere sulle vacanze. Nel mese e mezzo di interruzione della vita politica si potrebbero fare tante cose urgenti, necessarie e utili. Il diritto al riposo di chi opera nelle istituzioni a servizio dei cittadini viene, a mio giudizio, dopo il diritto dei cittadini a trovare risposte concrete ai loro enormi problemi. Dico la verità: non so come possa un deputato fare tranquillamente vita da spiaggia, sapendo che nel Centro-Italia c’è gente che dorme e vive in situazione di estrema precarietà a parecchi mesi dai terremoti; come possa un parlamentare staccare la spina per parecchi giorni sapendo che c’è gente che rischia il posto di lavoro, gente che non lo trova affatto, gente che lavora vittima di uno sfruttamento vergognoso, gente che dorme sotto i ponti, gente che non ha di che vivere, gente che non riesce a campare dignitosamente, etc. etc.
Un caro amico a cui tempo fa avevo fatto un simile ragionamento mi rispose acutamente: «Se è per quello, i nazisti e anche altri personaggi, torturatori e massacratori, riuscivano e riescono tranquillamente a dormire la notte…». Forse sto esagerando, chiedo scusa ai politici, ma lo faccio (solo) per rendere l’idea. Qualcuno penserà che sia demagogia. Lo ammetto, un po’ è così. Ma basta con i rinvii, basta con i giochini, basta con le alchimie, basta con le faziosità, basta con le scappatoie. E basta parlare di ferie. Fatele queste ferie del cavolo. Chissà che al rientro non abbiate più energia e più buona volontà. Ho i miei dubbi.