È da giorni che mi scervello (si fa per dire) per capire quale sia il collegamento tra la cagnara parlamentare sulla legge riguardante il riconoscimento del diritto alla cittadinanza italiana per tante persone che sono già italiani di fatto e il fenomeno dell’immigrazione con tutte le implicazioni problematiche che comporta. Alcune forze politiche infatti ritengono irresponsabile e/o inaccettabile la proposta di porre in discussione lo ius soli considerando tutto quello che sta accadendo sul tema immigrazione. Altri aggiungono: «Mentre l’Europa si preoccupa di difendere i propri confini dall’invasione, la priorità del governo Gentiloni e della sua maggioranza è la cittadinanza facile per gli stranieri».
Siamo al delirio politico e legislativo. Che una persona nata in Italia da genitori stranieri di cui almeno uno in possesso di permesso Ue per soggiorni di lungo periodo e che un minore straniero, nato in Italia o che vi abbia fatto ingresso entro i 12 anni ed abbia frequentato un ciclo formativo per almeno cinque anni nel nostro paese, abbiano diritto ad essere considerati cittadini italiani è questione talmente scontata da non essere nemmeno lontanamente messa in discussione. Si tratta soltanto di regolarizzare giuridicamente situazioni di fatto riguardanti circa un milione di persone: gente che è nata in Italia, ha frequentato le scuole italiane, da tempo vive in Italia. Non capisco quale sia il problema. Cittadinanza facile? Non direi proprio.
Si intuisce come si voglia far passare strumentalmente e demagogicamente questo sacrosanto provvedimento come una sorta di incentivo all’immigrazione. Volendo proprio affrontare il discorso da questo punto di vista, mi pare sia un disincentivo viste le condizioni tutt’altro che semplici da superare per ottenere la cittadinanza italiana. Bisogna in sostanza inserirsi e integrarsi concretamente e stabilmente, dopo di che si può ottenere un diritto che arriva a sancire e a completare giuridicamente un percorso esistenziale.
Questo assurdo e demenziale dibattito altro non è che il segno ulteriore della incapacità di accettare il mutamento sociale e culturale della nostra società: viviamo fuori tempo e fuori luogo. Purtroppo è l’atteggiamento ipocrita non solo e non tanto italiano, ma europeo. L’aula vuota del parlamento di Strasburgo durante il dibattito sui risultati del semestre maltese di presidenza dell’Unione, discussione che riguardava certamente anche il punto della situazione sul problema immigrazione, è, senza voler esagerare o criminalizzare alcuno, un segno eloquente e sconfortante della disattenzione e della insensibilità verso il nuovo assetto socio-culturale dell’Europa inserita nell’area mediterranea.
Continuiamo pure a cavalcare, come scrive Lucio Caracciolo, l’equazione migranti= invasori=terroristi; continuiamo pure a nasconderci, come scrive Gianluca Di Feo, dietro la pretestuosa distinzione tra rifugiati (da accogliere) e migranti economici (da respingere); continuiamo pure ad illuderci di riuscire a rimpatriare migliaia di persone (forse risolveremmo il problema di Alitalia, garantendole un traffico aereo smisurato); continuiamo pure a vomitare accuse contro le Ong e contro le loro immaginarie complicità con gli scafisti; continuiamo pure a scaricare compiti e responsabilità sulla Libia così come sulla Turchia o sul Marocco (la Libia l’abbiamo voluta mettere a soqquadro per soddisfare il gusto belligerante di francesi e inglesi ed ora pretendiamo di ributtare il problema dall’altro lato del Mediterraneo); continuiamo pure a non aiutare i paesi africani pensando che il mondo finisca col mare Mediterraneo; continuiamo pure a seminare paure e zizzania. I migranti continueranno ad arrivare e noi avremo sempre più paura e semineremo sempre più zizzania pensando di essere noi il buon grano, che invece verrà bruciato, come dice Lucio Caracciolo, nel fuoco dell’antistoria, dell’antigeografia, dell’antidemografia, dell’antieconomia, dell’anticlima e dell’antipolitica.