Il vocabolario definisce “emerito” chi non esercita più un ufficio, ma ne conserva, onorificamente o con limitate attribuzioni, il grado. “Notabile” è persona importante, autorevole, maggiorente. In politica il termine “emerito” assume, in senso estensivo, il significato di persona insigne, famosa anche se a volte in chiave prevalentemente ironica. Nella vita politica il “notabile” è un pezzo grosso decaduto che vuole a tutti i costi e nostalgicamente contare ancora qualcosa.
Parto dalla contrapposizione fra queste due figure, l’emerito e il notabile, non per gusto filologico o lessicale, ma per criticare l’atteggiamento di alcuni personaggi, che sembrano aver abbandonato la scena della politica, mentre invece la vogliono calcare di sponda. Legittimo, ma, a mio giudizio, inopportuno. Mi riferisco a Enrico Letta, Romano Prodi e Giorgio Napolitano.
Dei primi due è noto il malcelato dente avvelenato per il trattamento loro riservato dal Partito Democratico: Letta sfrattato in tutta fretta da una Presidenza del Consiglio vissuta peraltro in modo problematico, flemmatico e inefficace; Prodi bruciato quale frettoloso candidato alla Presidenza della Repubblica in un passaggio opaco, che sfociò nella conferma di Napolitano quale scelta liberante rispetto ad una assai poco dignitosa impasse politico-parlamentare. Di questi due personaggi quindi non mi stupisce più di tanto la immancabile ed acida critica verso il PD renziano e tutto quanto ad esso è riconducibile (ultime la legge elettorale e la prospettiva di elezioni politiche anticipate).
Francamente invece mi sorprende l’atteggiamento sciorinato con eccessiva virulenza da Giorgio Napolitano contro la legge elettorale in gestazione, ridotta a mera scelta di convenienza dei quattro leader, i quali getterebbero altresì il nostro Paese nell’instabilità portandolo al voto anticipato e dando quindi il massimo contributo negativo al consolidamento della credibilità politico-istituzionale dell’Italia.
Mi sento di fare tre riflessioni al riguardo, due di merito, una di metodo. La prima riguarda la scelta del sistema proporzionale a livello di legge elettorale. Si è sempre detto che bisognava arrivare a una legge il più condivisa possibile e, quando ci si arriva con un compromesso tra i quattro maggiori partiti, l’accordo diventa un inaccettabile inciucio ed il sistema proporzionale un attentato alla governabilità e alla rappresentatività. Vorrei capire la differenza sostanziale per il cittadino tra scegliere di votare per un candidato di collegio scelto dai partiti (meccanismo maggioritario) e un candidato di lista (meccanismo proporzionale) altrettanto stilata dai partiti senza possibilità di esprimere preferenze (le tanto vituperate e preferenze, un tempo considerate strumento di cattura del consenso a livello affaristico e pseudo-mafioso). Mi sembra che in questi mesi siano stati escogitati tutti i sistemi elettorali possibili ed immaginabili: nessuno trovava quella larga maggioranza parlamentare che sembra profilarsi sul cosiddetto sistema alla tedesca. Quanto al pluri-matrimonio di convenienza, la politica è fatta di compromessi dettati da convenienze e interessi diversi, talora contrapposti. Quindi niente di nuovo sotto il sole…
Veniamo alle probabili elezioni anticipate. Votare sei mesi prima superando e chiarendo una situazione politica confusa e precaria non mi pare un delitto di lesa stabilità democratica. Così come non credo che in coda alla legislatura non ci sia veleno ma possa esserci un balsamo legislativo per il Paese. Sul fatto poi che le elezioni possano sfociare in una situazione politica frazionata, sappiamo che (purtroppo) è già così e sarebbe così anche fra sei mesi, durante i quali il quadro politico tenderebbe a guastarsi ulteriormente piuttosto che a ricomporsi sia a sinistra, sia a destra, sia al centro. Saranno necessarie alleanze. Cosa c’è di strano? Succede o può succedere ovunque e non è detto che sia un male: l’importante è che si facciano nella chiarezza e nella concretezza. Prima o dopo le elezioni? Sarebbe meglio prima, ma potrebbe essere impossibile e/o non bastare e quindi…
Ultima riflessione. Giorgio Napolitano ha tutto il diritto di esprimere le sue opinioni politiche. Sono finiti fortunatamente i tempi in cui si irrideva al voto di fiducia al governo da parte dei senatori a vita, ritenendoli parlamentari onorifici e di pura tappezzeria. Tuttavia mi pare che questi suoi interventi in frangenti così delicati, che oltretutto vedono in primo piano il ruolo istituzionale dell’attuale Presidente della Repubblica, potrebbero essere un tantino più discreti e controllati. Sembra quasi che Napolitano voglia indirettamente parlare nella mano di Mattarella e non è certamente bello. Si guardi al comportamento del papa emerito Ratzinger: si è chiamato fuori e ha risposto picche a chi voleva tirarlo per la tonaca. Non è proprio lo stesso discorso, ma una maggiore prudenza istituzionale e una più equilibrata partecipazione al dibattito politico gioverebbero al pur grande personaggio Napolitano.
Letta e Prodi non sono emeriti né di nome né di fatto, sono chiaramente dei notabili. Napolitano rischia di essere emerito solo di nome e notabile di fatto. Sarebbe un vero peccato per lui, per l’intero Paese e anche per la sinistra che non ha bisogno di richiami nervosi o di messaggi leziosi, ma di contributi concreti.