Gli autogol degli ex

Quando vedo la fine politica e culturale dei berlusconiani pentiti, mi tocca paradossalmente   rivalutare il nano di Arcore. Guardiamo Gianfranco Fini ridotto all’insignificanza politica e alla gogna giudiziaria; osserviamo Angelino Alfano abbarbicato alle sue poltrone ed alla sua manciata di voti; e che dire di Pierferdinando Casini, il forlaniano riciclato in fretta e furia, di Gaetano Quagliariello, quello che ci voleva insegnare come e quando morire, di Fabrizio Cicchitto, a suo tempo un socialista duro e puro, di Formigoni, il celeste e casto ciellino prestato alla laicità dell’affarismo politico, di Gabriele Albertini, il milanese sindaco perbenista sbarcato in Parlamento, di Maurizio Lupi, il bravo ragazzo incappato per caso nelle grinfie della magistratura. Poi ci sono i Verdini (il piccolo-grande manovratore), i Fitto (l’uomo delle primarie), i Bondi (il poeta maledetto), i Tremonti (l’economista con gli stivali)…

Vorrei spendere però una parola su Alfano, al centro del circo elettorale che si sta preparando. Matteo Renzi con la debordante loquacità, la spregiudicata verve e l’insopportabile protagonismo che lo caratterizzano, gli ha fatto una istantanea perfetta: dopo tutte le seggiole ministeriali che ha ingombrato (lui e i suoi), teme di non raggiungere il 5% dei consensi a livello elettorale… Non si tratta così un alleato di governo! Ma non si può nemmeno correre dietro a questi insulsi personaggi in cerca di voti, che si difendono con tardive sputtanate (storie di tentati accordi segreti) alla “muoia Renzi con tutti i renziani”.

Ora la sparo grossa in senso paradossale e provocatorio. Meno male che ci sono tre personaggi, Renzi, Berlusconi e Grillo, che, bene o male, coagulano la politica italiana: dietro, davanti, sotto, sopra di loro non c’è nessun personaggio che li possa sostituire o seriamente condizionare.

Fuori dal PD (gli articolo 1 Mdp) abbiamo la ridicola visione speranzosa del futuro, l’ossessionante retaggio dell’antistorico passato dalemiano, il sussiegoso e burocratico richiamo della foresta bersaniana; con un piede dentro e uno fuori gli orlandiani sempre più furiosi, gli emiliani (seguaci di Emiliano) che sputano veleno programmatico; poi abbiamo i notabili corteggiati, gli antipapa riottosi, velenosi e vogliosi, mi riferisco a Romano Prodi ed Enrico Letta, che fanno gli schizzinosi ma muoiono dalla voglia di tornare in sella (persino Veltroni e Napolitano stanno giocando al sinistrismo di ritorno); gli innumerevoli cespugli più o meno rinsecchiti, penso ai Fassina, ai Civati, ai Fratoianni, ai Vendola, dei quali ho perso le tracce; buon ultimo Giuliano Pisapia, il personaggio pulito al quale vorrebbero assegnare il lavoro sporco (lui si comporta come quelle ragazze che prima o poi dovranno pur decidere con chi sposarsi pena restare zitelle).

Ed eccoci ai grillini. Lì dentro c’è un casino pazzesco, che rimane sotto traccia ed esplode alla prima occasione. Al centro ed in periferia si osa pungere Grillo, alzare la testa, ma le fronde stanno in poco posto, comanda Beppe che fa e disfa, gli altri la bevono da bótte. In parecchi sono usciti dal movimento condannandosi all’irrilevanza. In questo senso sarà interessante valutare in tutti i sensi l’esito politico ed elettorale della candidatura di Federico Pizzarotti a Parma. Quindi ci sono i rampanti che fanno rabbia e tenerezza, i talebani del cavolo, che fanno ridere, i pentiti, che fanno piangere. Ce lo vedete Roberto Fico al posto di Beppe Grillo? Il capo li lascia sfogare e poi, quando è il momento, dà loro la smerdata (anti) democratica e tutto finisce lì. Sulla legge elettorale questo equilibrio di potere all’interno del movimento sembra essersi incrinato: non ho capito se sia in atto una levata di scudi dei colonnelli contro i generali o se i generali manovrino a loro piacimento i colonnelli. Una cosa è certa: non si capisce dove Grillo voglia parare. Un giorno così, un giorno cosà. Un giorno decidono gli iscritti, l’altro decide il capo. Secondo me decide sempre il capo con le sceneggiate ad hoc. Per i cinque stelle, tanto, il consenso è tale a prescindere, quindi se lo possono permettere. Fino a quando?

Questo è il   tanto temuto e criticato tripartitismo imperfetto all’italiana, ma forse il casino totale, senza il filtro degli ingombranti leader, come ho pittorescamente e indirettamente ipotizzato (s)parlando di politica , sarebbe molto peggio. Certo quando la politica italiana poteva contare su leader del calibro di De Gasperi, Togliatti e Nenni oppure Moro, Berlinguer e Craxi, le cose andavano un po’ meglio. Poi è stata una lenta inesorabile discesa che non si è ancora arrestata. Qualcuno rifiuta il leaderismo considerandolo una prevaricazione populista della politica autenticamente democratica. Non sono d’accordo: ritengo sia meglio avere un cattivo leader che esserne sprovvisti, almeno si sa con chi prendersela.

Un po’ ho scherzato, un po’ ho parlato seriamente. Arrivo ad una sconclusionata conclusione: se nel calcio si deve avere paura della “vendetta” degli ex, in politica gli ex non combinano niente e si limitano a disturbare: sono fuori dalla porta e ci rimangono, nonostante le velleità conclamate e le seconde intenzioni malcelate.