Nella Chiesa ci sono le trombe e i tromboni

La Chiesa è bella perché è varia: ai preti-profeti prima si fanno le pulci, poi arrivano gli elogi. Ma devono passare tempi biblici… Mi sembra di poter sintetizzare gli alti e bassi clericali, le spinte e contro spinte ecclesiali, con un famoso detto parmigiano: “O tròp o cla neg rivä”. La Chiesa, se arriva presto sbaglia bersaglio. Colpisce nel segno solo a babbo morto, quando è troppo tardi. Ho letto con commozione e consolazione della visita privata che papa Francesco farà ai luoghi della vita di due profeti del secolo scorso: don Lorenzo Milani e don Primo Mazzolari. La vita dei profeti è sempre stata contrastata e maltrattata: si tratta di personaggi scomodi che riescono ad avere contemporaneamente il coraggio della denuncia e la forza della testimonianza, arrecano quindi il massimo del fastidio possibile ai poteri costituiti, civili e religiosi, contestandoli alla radice della loro legittimità sostanziale. Ebbene verso questi due preti la Chiesa arricciò il naso, li emarginò, li osteggiò o quanto meno non diede loro molta considerazione. A distanza di tanti anni la gerarchia si ricrede: erano dei grandi. Ecco cosa dice, con grande onestà intellettuale, ma con una punta di troppo a livello giustificazionista, papa Francesco di don Lorenzo Milani: «Come educatore ed insegnante egli ha indubbiamente praticato percorsi originali, talvolta, forse, troppo avanzati e, quindi, difficili da comprendere e da accogliere nell’immediato. La sua educazione familiare, proveniente da genitori non credenti ed anticlericali, lo aveva abituato ad una dialettica intellettuale e ad una schiettezza che a talvolta potevano sembrare troppo ruvide, quando non segnate dalla ribellione. Egli mantenne queste caratteristiche, acquisite in famiglia, anche dopo la conversione, avvenuta nel 1943, e nell’esercizio del suo ministero sacerdotale. Si capisce, questo ha creato qualche attrito e qualche scintilla, come pure qualche incomprensione con le strutture ecclesiastiche e civili, a causa della sua proposta educativa, della sua predilezione per i poveri e della difesa dell’obiezione di coscienza. La storia si ripete sempre». Da papa Francesco mi aspettavo qualcosa di più, ma è tutto grasso che cola: è molto più a suo agio quando parla e opera per la carità, quando si tiene lontano (a volte un po’ goffamente) dai contatti con la politica che quando affronta i problemi ei rapporti interni (passati, presenti e futuri) della Chiesa.

Ma torniamo alle rivalutazioni del secolo successivo (i tempi per la Chiesa sono scanditi dai secoli: il cardinal Martini registrava e stimava i ritardi con tali cadenze). Anche don Primo Mazzolari viene considerato uno straordinario profeta del ’900 e finalmente ricordato per le coraggiose prese di posizione politiche (fu antifascista e partecipò attivamente alla Resistenza), per l’innovativa visione pastorale, di cui sono testimonianza i suoi numerosi scritti. Il cardinale Gualtiero Bassetti non ha dubbi: «Vedo fra don Primo e papa Francesco una visione similare, direi un pensiero analogo, almeno su due interrogativi fondamentali: che cosa è la chiesa e chi è il povero». Il cardinale parla del parroco di Bozzolo come di un “incompreso, perseguitato, amato”. D’altra parte basta ricordare cosa diceva don Mazzolari: «Non avrei mai pensato che in terra cristiana, con un Vangelo che incomincia con”Beati i poveri”, il parlar bene dei poveri infastidisse tanta gente, che pure è gente di cuore e di elemosina». Il cardinale Bassetti aggiunge: «Del resto la povertà è uno scandalo per chi adora dotte citazioni e afflati pubblici, salvo poi dimenticarsi del misero che gli sta accanto. Non è una questione di colpe e responsabilità. È una questione di amore e responsabilità. È una questione che investe la fede e che si riflette anche nel modo di vivere la Chiesa».

Ebbene tutti questi elogi arrivano tardi, con paginoni e titoloni sul quotidiano Avvenire, sulla indubbia scia dello stile nuovo di papa Francesco, anche se per don Mazzolari c’era già stato un endorsement papale da parte di Giovanni XXIII che lo definì “la tromba di Dio”. Meglio tardi che mai, ammetto tuttavia di uscire piuttosto irritato da queste riabilitazioni. Come non pensare al nostro don Luciano Scaccaglia così incompreso e tartassato in vita e così simile nella mentalità e nello stile a questi illustri predecessori che lui citava continuamente. Chissà quanto tempo dovrà passare perché gli sia resa “giustizia” a livello gerarchico e clericale. Io sarò morto, sepolto, esumato, incenerito, quando il settimanale Vita Nuova dedicherà due paginoni a don Scaccaglia, qualche cardinale ne tesserà il panegirico, magari anche il Papa verrà a rendergli omaggio nel cimitero di Felino e nella chiesa di Santa Cristina. Ci siamo molto lontani, ma non importa. Che conta è Dio e il suo popolo. Entrambi lo hanno in gloria!