Le foto di guerra per fare la guerra

Quando ho visto l’ambasciatrice statunitense all’Onu Nikki Haley mostrare al Consiglio di Sicurezza le foto sulla strage in Siria con le armi chimiche ho ricordato immediatamente quella di Colin Powel allora segretario di Stato americano che mostrava   un reperto a dimostrazione della presenza di armi atomiche in Iraq. Allora fu l’inizio di una guerra inutile volta ad abbattere il regime di Sadam Hussein, oggi potrebbe essere l’avvisaglia della virata bellicista   contro il regime di Assad nell’ambito della guerra contro l’Isis.

A volte, nella storia passata e recente, sono state adottate decisioni epocali e drammatiche sulla scorta di elementi falsi (guerra all’Iraq), di ricostruzioni romanzate, di finte battaglie di principio (guerra alla Libia), di menzogne spudorate sciorinate per catturare consenso all’interno del proprio Stato, di questioni democratiche messe in campo per coprire sporchi interessi speculativi. Non dimenticherò mai appunto l’impudenza con cui fu preso in giro il Consiglio di sicurezza dell’Onu con autentiche “patacche spionistiche”: ne nacque una guerra in Iraq con migliaia e migliaia di morti le cui conseguenze stiamo ancora pagando e probabilmente pagheremo per non so quanto tempo.

E che dire del Presidente francese Sarkozy che promosse una guerra, spalleggiato dai soliti guerrafondai inglesi, quella contro Gheddafi, non perché questi fosse un dittatore sanguinario e feroce, non perché la Libia meritasse finalmente un po’ di democrazia, ma perché bisognava puntare su una forte iniziativa internazionale per ricuperare il consenso a livello nazionale: oltretutto non gli bastò nemmeno ad essere confermato presidente.

Si dirà che questa volta l’hanno fatta grossa, che ci sono le prove, che non si può sorvolare, che il sangue dei giusti grida vendetta, che va dato un segnale forte di reazione.

Purtroppo le guerre hanno sempre alla propria base pretesti plausibili, anche piuttosto convincenti, che poi si sgretolano miseramente nel divenire della storia. Talora possono dare persino l’illusione di essere giuste, di poter ripristinare un ordine clamorosamente violato. Ci si continua a cascare: la fretta opportunistica nel voler abbattere certe dittature, magari sostenute e puntellate in precedenza, senza che esistano i presupposti per un cambio effettivo di regime a livello democratico; la sbrigativa vendetta contro violazioni delle regole umanitarie e del diritto internazionale senza considerare le conseguenti reazioni a catena. Sono le più praticate motivazioni a supporto di operazioni belliche che non portano mai a nulla di positivo.

I missili statunitensi contro la base siriana servono solo a Donald Trump per battere un colpo, ma non servono certo a risolvere i problemi del Medio Oriente e del terrorismo islamico. Posso capire una epidermica reazione di consenso: un “basta” gridato a suon di bombe. Ma non è un basta, è solo l’inizio di una serie interminabile di ulteriori brutture e tragedie. Le foto di quei bambini martoriati dal gas nervino in Siria non ci chiedono assurde vendette o ulteriori guerre, ci chiedono solo di tornare ad essere uomini e non di continuare a comportarci da bestie feroci. L’unica arma da usare è quella della diplomazia, non in seconda battuta, ma come prima ed assoluta scelta. Anziché sfruttare le facili motivazioni per fare la guerra (ce ne sono a iosa), bisogna pazientare alla ricerca delle difficili opportunità di pace.