La sarabanda mediatica del 25 marzo è stata costretta ad accostare due eventi di diversa natura e portata: il rinnovo delle “promesse europee” (siamo in clima pre-pasquale e quindi per l’evento laico uso una terminologia religiosa) e la conferma della “politica papale” (siamo sempre in clima elettorale e quindi per l’evento religioso uso una terminologia laica).
Al di là dei giochetti lessicali anche al più superficiale degli osservatori non sarà scappato come la liturgia, al limite della parodia, sia stato il connotato prevalente della laica celebrazione dei Trattati di Roma costitutivi della CEE, mentre nella visita di papa Francesco a Milano, pur in un calendario fin troppo fitto di incontri e cerimonie ufficiali e oceaniche, abbia prevalso il dato della semplicità e della spontaneità.
A Roma si respirava un’aria compassata e distaccata rispetto ai sentimenti popolari: i protagonisti hanno fatto un po’ di comunella fra di loro (meglio di niente), ma di vero pathos neanche a parlarne. Sarebbe andata ancor peggio se non ci fossero state le tanto temute manifestazioni in piazza a favore e contro l’UE a Roma, ma ancor più in tante altre piazze europee, in cui almeno si è rotto il disincanto della gente e si è “gridato” il pensiero dei cittadini, con forza e convinzione in difesa del più genuino europeismo.
Persino la sindaca Virginia Raggi, imbalsamata e fasciata, non è riuscita a porgere un vivace spaccato di umanità (qualcosa ha detto nel suo saluto, ma in queste occasioni contano più gli sguardi delle parole), lei che sta sprecando il largo mandato popolare ricevuto. C’è voluta la freddezza di Angela Merkel a riscaldare l’incontro con la città di Roma: ha persino chiesto di fare una foto ricordo della stretta di mano con un’imbarazzata sindaca, la quale avrebbe dovuto essere, fra tutte le autorità convenute, la più vicina alla gente lontana (forse era solo emozionata).
A Milano si intravedeva al contrario una forte partecipazione che ha avuto i suoi clou nella visita ad alcune famiglie ed al carcere di San Vittore. Le immagini davano questa sensazione. D’altra parte il componente di una delle famiglie visitate dal papa ha detto con grande commozione ed un pizzico di demagogia (che in quel caso non ha guastato): «Il Papa è l’unica autorità che ha il coraggio di parlare dei poveri e dei lavoratori…». Ed un’altra milanese ha commentato: «Non si era mai visto un papa fare visita a delle famiglie di base…». Poi l’inquadratura del Papa seduto a mensa coi carcerati. Poi ancora la frecciatina all’orgoglio tutto milanese del credere troppo al proprio possibile (un laurà della Madonna) e l’invito a credere all’”impossibile” di Dio.
Non è una questione di sentimentalismo e di poesia: c’è in ballo la capacità dell’autorità di mettersi in contatto reale con le persone, i loro problemi, i loro drammi. Bisogna ammettere che la Chiesa lo ha capito ed ha scelto di conseguenza un papa capace di imprimere una svolta in tal senso. Le autorità politiche non lo capiscono e rimangono lontane (forse ben oltre gli allarmanti dati demoscopici, che misurano lo slegamento tra gli europei e una certa UE), lasciando spazio, peraltro, alle pseudo-autorità ed al loro pseudo-popolarismo, chiamato appunto populismo.
Qualcuno dirà che la Chiesa vince in partenza, perché può contare sulle spinte dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo, per chi ci crede, agisce anche nelle istituzioni laiche, non solo nei conclavi e nell’opera dei papi. Oltretutto nella storia ci sono stati papi che se ne sono fregati altamente del popolo di Dio e capi politici che hanno versato il sangue per i loro concittadini.
È una questione di sensibilità, di passione, di fede, di solidarietà, di condivisione. La Chiesa, con papa Francesco, sta tentando faticosamente di recuperare il ritardo accumulato; l’Europa si sta sempre più allontanando dallo spirito unitario da cui è nata: ha raggiunto traguardi importanti (la non-guerra, il mercato comune, la libera circolazione di beni e persone, un certo benessere), ma ha mancato il più importante, quello di far sentire i cittadini europei partecipi di una casa e di un destino comuni, di una famiglia allargata e aperta.
Non dobbiamo aspettare un Papa-Ue, sarebbe assurdo e pericoloso, ci potremmo accontentare di un vero Parlamento, di vere Istituzioni comuni, tali che, quando si vedessero i loro componenti, ci si sentirebbe interpretati e rappresentati. Se poi ci fosse anche un po’ di carisma, non guasterebbe. Sì, quello che avevano i pionieri e i fondatori dell’Europa unita.