Forse perché ero molto colpito e quasi sbalordito di fronte alla prima e solenne uscita ufficiale di Donald Trump (il diavolo si è subito rivelato peggiore di quanto ci si potesse attendere), ma le reazioni allo choccante primo messaggio presidenziale trumpiano mi sono sembrate troppo contenute e “politicamente troppo corrette”: il coraggio non è mai purtroppo il piatto forte.Ai felpati commenti delle diplomazie hanno fatto contorno le dotte e attendiste dissertazioni politologiche che, tutto sommato, hanno dato un colpo al cerchio obamiano e uno alla botte trumpiana (o viceversa); parecchi superficiali e sconclusionati reportage giornalistici hanno fatto seguito alle gossipare cronache dirette televisive. Mi aspettavo di più e di meglio, non da Trump che ha dato il “meglio” (sic) di sé (la botte dà il vino che ha), ma da politici e commentatori vari. Stiamo ben attenti a non sottovalutare fin dall’inizio i pericoli… Ecco perché mi sono trasferito con lo sguardo e con la mente nelle strade di Washington, non tanto e non solo per solidarizzare con le sacrosante manifestazioni di protesta scoppiate in concomitanza con la cerimonia del giuramento, ma per puntare tutto sulla pacifica Women’s March, la protesta oceanica delle donne, organizzata a Washington, ma dilagata in altre città degli Usa e di tutto il mondo.Sì, perché sono da tempo convinto che il futuro del mondo sia nelle mani della donna. Alla sua sensibilità, alla sua tenacia, alla sua concretezza riservo un grande compito di progresso in tutti i campi: cultura, religione, politica, giustizia, economia.Quando ho visto che la prima seria e pacifica manifestazione popolare contro “l’incoronazione” del re-bullo veniva dalle donne, immediatamente e pacificamente mobilitate per mettere i puntini sulle “i” a questa presidenza sbalorditiva, mi sono rincuorato.Mentre in Italia il suo precursore Silvio Berlusconi le aveva prevalentemente conquistate con le sue caramellose pomeridiane televisioni e con il fascino delle sue “avance” (c’è solo una differenza di forma tra i bunga-bunga di Arcore e le conquiste trumpiane consistenti “nell’afferrare le donne per i genitali a piacere”), in America le donne, a quanto pare, non sono affatto entusiaste del Berlusconi ingigantito, riveduto e (s)corretto.Come mai? Innanzitutto sono passati oltre vent’anni e il mondo ha metabolizzato certi fenomeni da baraccone mediatico sostituendoli magari con altri fenomeni, da circo-informatico. Le donne nel frattempo hanno capito l’imprescindibile esigenza di difendere la propria dignità, hanno preso coscienza del loro ruolo e, pur in mezzo a mille contraddizioni tipiche della nostra società, hanno acquisito un peso notevole sugli andamenti mondiali, lasciando intravedere come i cambiamenti importanti possano avvenire solo con la loro emancipazione ed il loro protagonismo. Vale per l’evoluzione dell’Islam e di tutte le religioni, vale per la democratizzazione del mondo arabo, vale per il riscatto delle popolazioni africane, vale per il discorso interculturale, vale per la solidarietà fra i popoli, vale per ogni e qualsiasi prospettiva di progresso.Non sono più i giovani la speranza del mondo, sono le donne! Non è solo una questione di apertura a loro dei posti di potere, anche quello naturalmente, ma di un cambio radicale di mentalità nella società. A volte resto profondamente deluso nel verificare come le donne, una volta raggiunte posizioni altolocate nelle Istituzioni, finiscano col comportarsi più o meno secondo gli schemi maschilisti. Mi sono quindi convinto che non sia tanto una questione di “quote rosa”, ma di “quote cultura” in quanto la donna è portatrice di valori fondamentali che devono essere immessi nel circuito culturale e nel sangue sociale.Per tornare agli USA, non si tratta di creare una potente lobby femminile da accostare a quelle collaudate degli ebrei, dei finanzieri, financo degli omosessuali (è una realtà americana ed è un errore comprensibile, ma pur sempre un errore), si tratta di “contaminare” al femminile i meccanismi di elaborazione culturale, gli equilibri sociali, i rapporti economici, i processi politici ed istituzionali. Non si tratta di risvegliare il “femminismo”, ma di fare in modo che nella società non ci sia più bisogno di femminismo. Probabilmente il flop della candidatura di Hillary Clinton è dovuto anche all’essersi presentata come donna arrivata al potere senza dare l’impressione di cambiare il potere.Non ho idea di quanto le donne potranno incidere nell’immediato della presidenza Trump: non mi aspetto certo le fate che demoliscono l’orco. Tuttavia ho l’impressione che Trump non avrà vita facile di fronte ad una forte resistenza femminile: può darsi che lo slogan “Prima l’America, ora cambia tutto” gli rimanga in gola e gli venga scippato dalle donne che lo correggeranno e ne faranno ben altro uso.