La parabola del figliol Mardona

La fragorosa rimpatriata napoletana di Diego Armando Maradona ha suscitato un facile e retorico entusiasmo assieme ad una stucchevole polemica.Liquido la seconda, inerente la location della celebrazione, vale a dire il teatro San Carlo di Napoli, in poche parole: l’arte e la cultura non sono da ammirare e relegare in una sorta di bigotto empireo per evitarne la contaminazione con la realtà quotidiana. Sono nate e cresciute dentro la storia e come tali devono continuare a vivere. In fin dei conti la cultura non è forse il modo di porsi di fronte alla realtà? E la realtà napoletana comporta (purtroppo) anche il ritorno trionfale di Maradona.Mi disturba invece l’enfasi culturale (questa sì fuori luogo) sul fatto: Maradona venerato come simbolo del riscatto della città, Maradona accolto come liberatore di Napoli dal suo inferno malavitoso, insomma Maradona re di Napoli.Già l’assunto che un supermiliardario ex-campione sportivo possa impersonificare questo taumaturgico ruolo mi lascia molti dubbi e perplessità. Oltretutto, se è stato indiscutibilmente un fuoriclasse della pedata (anche della manata, ma lasciamo perdere…), non lo è stato sul piano della correttezza sociale (evasione fiscale a tutto spiano), dell’etica umana (cocaina a fiumi), del rispetto di certi valori (una paternità irresponsabile): un campione di calcio e di trasgressione, simpatico ma discutibilissimo fuori dal campo. E da lui dovrebbe venire un importante e gioioso impulso al riscatto della città? Riscatto da cosa? Da molte cose in cui Maradona non ha storicamente le carte in regola.Napoli è una città dal gusto iperbolico per eccellenza: ebbene, forse sta portando all’ennesima potenza la portata civica della parabola del figliol prodigo? Ma attenzione, il padre misericordioso ha fatto festa, ma non ha detto a tutti di imitare il figlio trasgressivo, non lo ha messo a capo della famiglia, gli ha solo restituito la piena dignità (e non era poco).Non credo troppo ai miracoli, ma se proprio devo, preferisco credere a quello di San Gennaro piuttosto che contemplare quello di…Maradona.Mio padre, che era un dissacratore nato, prevedeva, ai suoi tempi, che il popolino avrebbe facilmente osannato Sophia Loren e probabilmente snobbato, se non pernacchiato, Alexander Fleming (quello della penicillina). Il discorso non è molto cambiato: “cambia molinär, cambia lädor…”.A proposito di mio padre, non ho mai capito se lo facesse per puro errore o in senso ironico (ne aveva da vendere), ricordo comunque che al campione argentino, ai tempi in cui giocava in Italia, storpiava il nome: “Mardona” (molto simile al dialettale “mardónna”: una grossa cacca o una donna che si dà troppa importanza). Diceva: «Mo co’ gh’ani d’andär sémpor adrè con col Mardona lì?». Papà rassegnati, continuano a osannarlo ancora oggi, dopo che ne ha combinate una più di Bertoldo.