Parole, parole, parole…

È brutto e doloroso doverlo ammettere proprio durante i giorni natalizi grondanti pace, ma le dichiarazioni dei musulmani cosiddetti moderati suonano stucchevoli e poco credibili. La loro asserita distinzione rispetto alla violenza terroristica appare reiteratamente scontata ma inefficace. Eppure anche loro piangono innumerevoli vittime, davanti alle quali magari noi sorvoliamo egoisticamente. Tuttavia rimane l’impressione di una presa di distanza insoddisfacente, di un taglio tutto sommato relativo, del permanere di una riserva mentale, una sorta di “fratelli che sbagliano, ma…”, forse una inclinazione a “comprendere” le ragioni dei terroristi.Facendo un ardito parallelo con il fenomeno del brigatismo rosso e con l’atteggiamento di equidistanza assunto da intellettuali e militanti di sinistra nei confronti di esso, sarebbe una vera sciagura se in campo musulmano si arrivasse a parafrasare l’ambigua formula adottata nei confronti delle Brigate Rosse, trasformandola in un “né con la società occidentale né con i terroristi islamici”. Troppa comprensione arriva alla giustificazione, dice un proverbio francese: non si può negare il rischio che gli islamici moderati comprendano troppo bene i loro correligionari fanatici arrivando a giustificare tacitamente e indirettamente coloro che terrorizzano il mondo atteggiandosi magari ad angeli vendicatori di un passato di sfruttamento coloniale e di un presente dissacrante dei costumi individuali e sociali.Francamente non sono in grado di stabilire se l’album di famiglia (leggi Corano) sia sgombro da ogni e qualsiasi richiamo equivoco. Prendo per buono quanto molti teologi e studiosi di religione affermano, vale a dire che nel Corano ci sarebbe, come nei “libri” delle altre religioni, solo qualche possibilità di equivoco superabile in una visione del messaggio emergente dal testo complessivamente considerato (è utile al riguardo, senza rivendicare primazie e senza dimenticare errori enormi commessi dai cristiani e dalle loro Chiese, ricordare che il dato caratteristico della fede cristiana è quello di non essere fondata sul “libro”, ma su una persona, Gesù, Dio fatto carne, che non ha scritto regole, non ha fatto proclami, ha semplicemente vissuto da uomo-Dio e i Vangeli raccontano proprio in modo asciutto questa esistenza a cui fare riferimento).Allora la palla passa a coloro che sono deputati all’interpretazione ufficiale delle scritture islamiche: gli Imam. Qui, mi spiace dirlo, casca l’asino. Il loro comportamento non è certamente inattaccabile: parecchi sono i casi di Imam in odore di favoreggiamento o almeno di comportamento omertoso. Intorno alle moschee tira un’aria piuttosto equivoca, per non parlare delle carceri che si dimostrano autentiche palestre di avviamento alla lotta terroristica con la tacita compiacenza di Imam che sembrano giocare col fuoco dell’indottrinamento. Per stessa ammissione dei musulmani praticanti ci sarebbero degli Imam inneggianti alla violenza, che (bontà loro) le comunità islamiche presenti sul territorio sarebbero pronte a denunciare. Lo facciano in fretta e a tappeto, altrimenti perdono credibilità la loro buona fede e la loro volontà di distinguersi drasticamente.Nel giorno della festa di Santo Stefano, protomartire della fede cristiana, viene spontaneo auspicare che, una volta per tutte, si cessi di equivocare sul concetto di martirio: non è martire chi è disposto a sacrificare la propria vita per toglierla agli altri, ma chi è disposto a morire per garantire la vita agli altri. Non si può transigere, non è possibile tentennare, non è ammissibile alcuna giustificazione (né storica, né sociologica, né economica, né religiosa) per il terrorismo di qualsiasi matrice sedicente religiosa, non è consentito confondere il fanatismo religioso con la testimonianza della propria fede.Ma c’è qualcosa di più che andrebbe fatto. Occorre che la prassi religiosa islamica superi certi tabù, si apra alla società moderna, al dialogo: in estrema sintesi bisogna che i musulmani capiscano che “il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”, si carichino dell’enorme responsabilità che grava su di loro, abbandonino veramente e non a parole l’integralismo religioso e puntino ad integrarsi nella cultura della società che li ospita, cogliendo le opportunità che vengono loro offerte senza rinchiudersi nei recinti dove può regnare la confusione tra chi vuole (giustamente) solo difendere il diritto alla propria specificità di fede e chi vuole (fanaticamente) combattere la fede altrui.Nel giorno in cui si sono celebrati a Sulmona i funerali di Fabrizia Di Lorenzo, vittima dell’attentato al mercatino di Berlino, letteralmente maciullata dal camion lanciato a tutta velocità sulla gente da un pazzo scatenato in nome del dio della morte, una giovane donna oltretutto con mentalità aperta verso gli immigrati, senza alcuna prevenzione verso i musulmani, bisogna che tutti disinfettiamo le coscienze: se, cristianamente parlando, anche di fronte agli atti barbarici di terrorismo islamico devo porgere l’altra guancia, se devo chiedere perdono per tanti comportamenti sbagliati passati e presenti riconducibili a chi professa la religione cristiana, sul piano umano, civile e religioso devo pretendere che nessuno resti inerte di fronte ai macellai di sedicente ispirazione islamica.Non dobbiamo cadere nella trappola degli opposti radicalismi, della reciprocità per cui al dente dell’attentato si debba rispondere con il dente dell’espulsione generalizzata o della chiusura ermetica, della logica della decimazione riveduta e (s)corretta. Sarebbe il disastro totale e finale a cui puntano i terroristi islamici. Davanti a tante vittime innocenti forse viene spontaneo provare a livello di subconscio un senso di repulsione, un desiderio di vendetta. Dobbiamo togliere dalle nostre menti questi assurdi pensieri, non dobbiamo dare il minimo ascolto a questi insani propositi, ma possiamo chiedere ai nostri fratelli di fede musulmana (uso volutamente il termine fede e non quello di religione) che alle parole di condanna facciano seguire i fatti, prima che i fatti smentiscano le parole e la Parola.