Non posso credere che la sarabanda promossa col No alla riforma costituzionale fosse prevalentemente (o esclusivamente) volta a colpire il prestigio, la figura e il ruolo di Matteo Renzi. Se invece fosse stato così, il risultato, almeno momentaneamente, sarebbe stato raggiunto: Renzi è tornato formalmente a casa.Ma penso che il discorso politico precedente e successivo alla vittoria del No fosse assai più complesso: sovvertire l’equilibrio politico-governativo per poi, nel segno della totale discontinuità, andare precipitosamente alle urne. Obiettivi completamente mancati, complice la freddezza istituzionale di Sergio Mattarella e le preoccupazioni europee.Mattarella ha stoppato inequivocabilmente le smanie elettorali imponendo un percorso, che, al di là degli attesi e imminenti pronunciamenti della Corte costituzionale sulla legge elettorale recentemente varata (il cosiddetto Italicum), garantisca una omogeneità di regole tra Camera e Senato, una corretta rappresentatività dei cittadini, una razionale funzionalità delle Camere e una stabilità e continuità di governo.Poi dal contesto europeo e mondiale è venuta direttamente e indirettamente una pressante richiesta di poter contare su un governo autorevole che operi nel segno della continuità e senza sbandamenti nei delicati rapporti esistenti a livello internazionale.Quindi, nonostante la penosa, insistente e velleitaria litania per una svolta immediata e per il ricorso frettoloso alle urne, ci troviamo con un governo nei pieni poteri, senza limiti di tempo, nel segno della continuità e della stabilità di governo, nel perimetro della precedente rinsaldata maggioranza. Un governo che qualcuno ha definito ironicamente un “Renzi bis senza Renzi” e che ha scatenato la rabbia di quanti pensavano che valessero i loro calcoli in cui due + due fa quattro, mentre in politica le cose sono (fortunatamente) più complicate e non basta urlare nelle piazze o sul web per cambiare le situazioni. In passato qualcuno aveva ipotizzato come spesso alle piazze piene corrispondano urne vuote: questa volta addirittura si può dire che a urne piene corrispondono spazi istituzionali vuoti e regole costituzionali nette.Scrive Michele Serra: «Ora che la Costituzione, restituita alla sua collocazione originale, come la Gioconda scampata a un viaggio tempestoso e indesiderato, può essere contemplata con calma, tutti possono verificare che non c’è neanche una riga che assegni al Popolo e non al parlamento il diritto di eleggersi un nuovo governo, come tutti vorremmo domattina, massimo domani pomeriggio. E neanche una riga che levi ai Quirinale il dovere di spremere da ogni legislatura quello che gli riesce, anche fossero le poche gocce del governo Gentiloni o affini. Del resto, tecnicamente, il No questo era: tutto azzerato, dunque tutto come prima di Renzi e anche prima di prima di Renzi».Sul piano politico al centro della scena rimane il Pd, forza di maggioranza, nonostante i protagonismi da strada dei Cinque stelle e della Lega, al punto che tutto il quadro rischia di essere condizionato dal congresso del Partito democratico: probabilmente lo si celebrerà in tempi ravvicinati e dovrà delineare la strategia del partito, la sua classe dirigente, i tempi e i modi di governo, nonché prefigurare i percorsi politici futuri.Gli autori della precedente legge elettorale (il cosiddetto Porcellum) riconducibili al centro-destra (artefice principale del capolavoro: Roberto Calderoli della Lega), in base alla quale sono state elette le attuali Camere, l’avevano pensata e varata solo ed esclusivamente per mettere i bastoni fra le ruote di un incombente vittoria del centro-sinistra. Ebbene, dal momento che anche in politica il diavolo insegna a fare le pentole e non i coperchi, questa legge ha finito per dare e garantire una centralità, persino esagerata, al Pd, complice anche lo sfarinamento progressivo di Forza Italia.Gran parte del discorso politico ruota quindi attorno al Pd e non a caso al suo interno si sono da tempo scatenate rivalità correntizie, personalismi storici, visioni alternative: per anni fu la Democrazia Cristiana il perno della politica italiana e al suo interno si giocavano le questioni fondamentali del Paese. C’era un fortissimo partito di opposizione, il Pci, che sapeva fortunatamente stare al suo posto, aveva una notevole maturità istituzionale, un forte ancoramento costituzionale e riusciva a condizionare gli andamenti, funzionando come “governo ombra”, partito di lotta e di governo, dotato di personaggi altamente carismatici e rappresentativi delle istanze popolari (senza essere populista).Tornando ai giorni nostri non so se il Pd avrà il senso dello Stato della Dc, mentre sono certo che grillismo e leghismo non hanno sfortunatamente nulla da spartire con l’eredità comunista: sono impiccati infatti all’albero dell’antipolitica, sono chiusi nel magazzino del loro populismo d’importazione, hanno merce spendibile al mercatino, ma le loro bancarelle non entrano nel vero e proprio mercato. Sono convinto che l’elettorato italiano li voti e li voterà fino al momento in cui i giochi si faranno pesanti; allora i Grillo e i Salvini diventeranno figure meramente folkloristiche e continueranno, non so per quanto tempo, a giocare solo nei cortili recintati dell’antipolitica politicante.Sulla portata velleitaria del cambiamento con le cambiali firmate a questi personaggi inaffidabili, che vogliono uscire dall’Europa, scrive Eugenio Scalfari: «In fondo anche i No referendari volevano un cambiamento. Con Grillo e Salvini? Per l’Italia purtroppo è avvenuto, spesso ci scordiamo delle pessime esperienze vissute. La storia dovrebbe insegnarlo, soprattutto ai giovani: essi hanno votato il No in massa. Ora dovrebbero rileggersi alcuni classici della nostra storia politica e sociale fino in fondo. Il No vuole un vero cambiamento in avanti o all’indietro?».E il Pd? Dovrà fare i conti non tanto con le dispute tra Renzi e Bersani, ma dopo aver evitato di incartarsi nello storico ma nominalistico contrasto tra social-democrazia e social-liberismo, dovrà puntare ad una sinistra umanista, ambientalista, pragmatica, di governo, europeista, mondialista, che sappia tuttavia mettere regole e limiti al rigorismo europeo e alla globalizzazione e che sappia affrontare, in modo aperto ma razionale, il discorso dell’immigrazione.E il gruppo dirigente? Non vedo alternative serie a Matteo Renzi se saprà aprire qualche ponte e abbattere qualche muro. Se le alternative provenienti dalla cosiddetta sinistra dem si riducono alle infantili velleità di Roberto Speranza, ai tronfi proclami periferici di Michele Emiliano, ai nostalgici richiami di Enrico Rossi o addirittura ripiegano sul maligno ritorno del “molochiano” Pier Luigi Bersani, penso che Renzi farà il segretario dem per molto tempo, forse persino troppo.Messaggio in codice al fronte del No, interno ed esterno al Pd: tanto tuonò che non piovve.