Solo i verdiniani sarebbero impresentabili e il PD si dovrebbe vergognare di averne talora l’appoggio? E Berlusconi quando fece il pieno elettorale in Sicilia pensiamo che non avesse cavalcato certi legami con la mafia? Poi con lui si fece la grande coalizione, prima per sostenere Monti e poi per appoggiare Letta. Salvo avere da ridire sul coinvolgimento di Forza Italia proprio sulla riforma costituzionale da parte di Renzi (cosa tentata in passato e clamorosamente fallita da D’Alema): era il giusto approccio non tanto per sdoganare o riabilitare un Berlusconi messo fuori gioco per motivi giudiziari, ma per dare alla riforma un respiro parlamentare oltre il recinto della maggioranza di governo. Questo passaggio, fu improvvisamente e pretestuosamente interrotto nel 2015 da parte berlusconiana per l’elezione di un Presidente della Repubblica non troppo gradito e per la solita paura di alienarsi le simpatie leghiste e filo-leghiste, dopo che Forza Italia aveva ripetutamente votato a favore della riforma in base all’accordo del Nazareno. Ebbene tutto ciò viene bellamente dimenticato dai protagonisti forzitalioti di oggi presentatisi alle consultazioni di Paolo Gentiloni suonando due spartiti con due diversi musicisti (Brunetta e Romani): il primo ha fatto il duro attaccando Renzi, il secondo ha cucito aprendo spiragli collaborativi verso Gentiloni in nome di una fantomatica discontinuità. Berlusconi non c’era: quando c’è da fare la figura del pirla preferisce stare in disparte. Ma la cosa più curiosa è stato affermare che Renzi ha gestito la riforma costituzionale e quella elettorale a livello di governo, mentre in realtà esisteva un patto collaborativo proprio con questi signori, che prima se ne sono vergognosamente sganciati e oggi addirittura lo misconoscono. E nessun giornalista che assiste ai riti ha il buongusto di farglielo rilevare in diretta. Ormai la politica, come sta dimostrando la vicenda Trump, è preda della post-verità. Si sparano balle a tutti i livelli e in tutti i modi al punto che diventa quasi impossibile controbattere, le balle diventano verità, la società muore.Dopo questa breve divagazione punto alla sinistra dem ed alla sua mancanza di strategia.È arrivato il referendum sulla riforma costituzionale: il piatto forte per la sinistra dem, che ha giocato tatticamente su questo tavolo tutte le sue residue carte politiche, non facendosi scrupolo di allearsi almeno indirettamente con cani e porci (altro che Verdini…), pur di sfrattare l’ingombrante Renzi. Risultato ottenuto, ma a quale prezzo? A prezzo di una assurda debacle politica. L’area della maggioranza politica si è addirittura ancor più chiusa a sinistra; il programma governativo è lo stesso; il governo è presieduto da un renziano convinto. Non solo ma Gentiloni fa parte del gruppo (per la verità non entusiasmante) dei pulcini della chioccia Rutelli, i quali non hanno mai sopportato la Ditta, cioè la nomenclatura post-comunista che per anni ha avuto il controllo del Pd. Gentiloni così ricorda il momento in cui Renzi diventò segretario del Pd: «Il giorno più bello è stato quando Renzi ha vinto le primarie: lì abbiamo battuto il Moloch comunista»; Matteo Renzi rimane saldamente segretario e si dedicherà ancor più al partito convocando a tambur battente il congresso, puntando decisamente alla riconferma dopo aver rinsaldato attorno a sé la stragrande maggioranza negli organi di partito e rinverdito il feeling con la base del partito (iscritti ed elettori).Al contrario, la sinistra dem risulta divisa al suo interno, intenta solo a guadagnare tempo, senza candidature consistenti per la segreteria, con il rischio di isolamento rispetto alla base elettorale del partito (non a caso chiede le primarie limitate agli iscritti: evviva la partecipazione e il collegamento con la società!) che le contesta la macchia indelebile di aver tramato contro il partito stesso (i grillini fanno l’antipolitica, la sinistra dem fa l’antipartito, il proprio), scavalcata da una parte dall’extra-sinistra ragionevole avviata a proporre un patto al Pd, dall’altra dalla extra-sinistra dura e pura vocata alla minoranza perpetua.Giovanna Casadio scrive: «La sinistra interna potrebbe sfilarsi da un congresso-referendum su Renzi. Lasciano trapelare la disobbedienza, che sarebbe l’anticamera della scissione, quella che hanno sempre escluso anche nei giorni del No al referendum costituzionale e degli aspri botta e risposta con i renziani». Sembrano addirittura non fidarsi e chiedere che sia un comitato a gestire il congreso garantendo imparzialità. Siamo a questo punto. Non resta loro che continuare scopertamente a fare i guastatori, gioco che diventerà scopertamente difficile a livello parlamentare, vista l’esigua maggioranza al Senato (Verdini infatti ha preso le distanze con la sua pattuglia).Siamo ben oltre una vittoria di Pirro, questa è la brutta e ingiusta fine dell’eredità post-comunista: Togliatti e Berlinguer si rovesceranno nella tomba (il secondo in compenso ha la figlia che continua imperterrita a corteggiare televisivamente Massimo D’Alema).